Morto Decio, divenne imperatore Treboniano Gallo, che si trovava anch’egli sul limes danubiano. Associò a sè Ostiliano, il figlio sopravvissuto di Decio, e suo figlio Volusiano. Ma pochi mesi dopo Ostiliano sarebbe morto di peste, che imperversava nell’impero. Allo stesso tempo le truppe acclamarono Emiliano, che aveva ottenuto successi lungo il Danubio, imperatore. Emiliano uscì vincitore in battaglia nei pressi di Interamna (Terni), ma poco arrivò l’esercito di Valeriano (che proveniva dal Reno), che Treboniano aveva chiamato in aiuto; l’esercito di Emiliano era inferiore, e venne abbandonato dai soldati, da cui venne ucciso, dopo aver perso la battaglia contro Valeriano nei pressi di Spoleto (o Narnia).

Imperatore

Publio Licinio Valeriano era stato acclamato imperatore quando si trovava in Rezia o Norico, appena i soldati avevano appreso della fine di Treboniano Gallo. Sconfitto Emiliano, entrò a Roma, dove ottenne l’appoggio del senato; sicuramente contava la sua natura di consolare e sostenitore di Decio. Infatti Valeriano nel 238 aveva sostenuto la rivolta dei Gordiani e fu probabilmente praefectus Urbi sotto Decio. La sua moralità era tenuta in tale considerazione che pare il senato, sotto Decio, gli volesse conferire la censura, pratica caduta in disuso da moltissimo tempo:

“Il 27 ottobre dell’anno del consolato dei due Deci, nel corso di una seduta del senato tenuta nel tempio dei Castori su convocazione scritta dell’imperatore, in cui si procedeva al voto dei singoli in merito al conferimento della censura (infatti i Deci avevano rimesso tale scelta alla discrezione dell’illustrissimo consesso), non appena il pretore ebbe pronunciato la formula: «Qual è il vostro parere, o senatori, circa la scelta del censore?», e invitò ad esprimersi colui che, in assenza di Valeriano (questi era infatti impegnato in armi assieme a Decio), fungeva allora da primo senatore, tutti, interrompendo la normale procedura delle dichiarazioni di voto, gridarono ad una voce: «La vita stessa di Valeriano costituisce una censura. Giudichi di tutti, colui che di tutti è il migliore. Giudichi il senato, colui che non si è macchiato di alcuna colpa. Giudichi la nostra vita colui cui nulla può essere rimproverato. Valeriano è stato censore sin dalla prima infanzia. Valeriano è stato censore in tutta la sua vita. Senatore prudente, senatore moderato, senatore serio. Amico dei buoni, avversario dei tiranni, nemico dei delitti, nemico dei vizi. Tutti accettiamo lui come censore, tutti lo vogliamo imitare. Primo per nascita, nobile di sangue, irreprensibile nella vita, illustre per la dottrina, unico per qualità morali, sull’esempio degli antichi». Dopo aver ripetuto più volte queste espressioni, aggiunsero: «tutti», e così la seduta fu tolta. Quando Decio venne a conoscenza di questo pronunciamento del senato, convocò tutti i funzionari di corte e fece invitare lo stesso Valeriano, e, nell’adunanza di tali illustri personaggi, diede lettura del decreto senatorio, aggiungendo: «Felice te, Valeriano, per il voto espresso da tutto il senato, anzi per i sentimenti che nei tuoi confronti albergano nei cuori di tutti gli uomini del mondo. Assumi la censura, che lo Stato romano ti ha conferito, che tu meriti in massimo grado, per giudicare i costumi di tutti, per giudicare i nostri costumi. Tu stabilirai chi debba rimanere nella Curia, tu riporterai l’ordine equestre alla sua primitiva dignità, tu regolerai l’ammontare dei censi, tu confermerai, ripartirai, fisserai le imposte, tu farai il censimento dei beni pubblici; a te sarà data l’autorità di redigere le leggi, tu dovrai giudicare dei vari ordini militari; tu ispezionerai le armi, tu giudicherai in merito alla nostra corte, ai giudici, agli eminentissimi prefetti: ad eccezione, insomma, del prefetto di Roma, dei consoli ordinari, del sacerdote sovrintendente ai sacrifìci e della Vestale massima – purché tuttavia rimanga incorrotta –, potrai pronunziare giudizi su tutti. E anche coloro che non hai facoltà di giudicare, si sforzeranno di avere la tua approvazione». Così Decio. Ma la risposta di Valeriano fu di questo tenore: «Ti prego, o santissimo imperatore, non vincolarmi all’obbligo di giudicare del popolo, dei soldati, del senato, dei giudici, dei tribuni, dei generali nel mondo intero. Queste sono le prerogative per le quali avete il nome di Augusto: la censura è un compito che spetta a voi e che un privato non può assolvere. Chiedo dunque di essere dispensato da un ufficio di fronte al quale la mia vita è inadeguata e io non mi sento abbastanza coraggio e per il quale i tempi sono tanto sfavorevoli che la stessa natura umana non sente più il bisogno di un controllo».”

(Historia Augusta, Valeriano, 5,4 – 6,9)

Valeriano, seguendo la tradizione intrapresa fin da Massimino, associò il figlio Gallieno come Augusto. Decise poi di dare a quest’ultimo il più tranquillo occidente, e prendere per sé l’oriente e il Danubio minacciato rispettivamente da persiani e barbari, nel 256-57. Poco prima i goti e i borani erano sconfinati oltre il Danubio, facendo ampi saccheggi. Non solo l’imperatore poteva concentrarsi sui settori più delicati, ma nominò comandanti molti futuri imperatori e usurpatori, come Claudio il Gotico, Ingenuo, Postumo, Macriano e Aureolo.

La guerra persiana e la fine

Il problema principale proveniva tuttavia da oriente, con i persiani che nei trent’anni precedenti erano sconfinati ripetutamente in Mesopotamia, giungendo anche in Siria e saccheggiando molte città anche in Cappadocia; nel 256 presero perfino Antiochia. Nel Res Gestae Divi Saporis, il re persiano Sapore I, si sarebbe vantato di aver preso ben 37 città romane.

Valeriano si fece incontro alle forze persiane, che si incontrarono nei pressi di Edessa. Da qui in poi le fonti divergono: secondo Eutropio e Aurelio Vittore dopo uno scontro, perso dai romani, l’imperatore venne catturato dai persiani. Zosimo invece narra di un tradimento da parte di Sapore, che avrebbe accettato a un incontro per discutere i termini della pace, per poi catturare Valeriano, che si era presentato con pochi uomini al seguito. In ogni caso fu preso e portato in prigionia in Persia, dove sarebbe morto alcuni anni dopo, in circostanze oscure:

«[…] Sapore I chiese di incontrarsi con l’imperatore romano, per discutere ciò che fosse necessario. Valeriano, una volta accettata le risposta senza neppure riflettere, mentre si recava da Sapore in modo incauto insieme a pochi soldati, fu catturato in modo inaspettato dal nemico. Fatto prigioniero, morì tra i Persiani, causando grande disonore al nome romano presso i suoi successori.»

(Zosimo, Storia nuova, I, 36, 2)


«Una grande battaglia fu combattuta tra Carrhae e Edessa tra noi [Sasanidi] e il Cesare Valeriano, e noi lo catturammo facendolo prigioniero con le nostre mani, così come altri generali dell’armata romana, insieme al prefetto del Pretorio, alcuni senatori e ufficiali. Tutti questi noi facemmo prigionieri e deportammo in Persia.»

(Res Gestae Divi Saporis, riga 24-26)

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