«Il potere imperiale, a lungo reso incerto e quasi vacillante dalla rivolta e dall’uccisione di tre principi fu infine raccolto e consolidato dalla gens Flavia. Quella famiglia in verità era oscura e priva di importanti figure di antenati, tale tuttavia che lo Stato non ebbe a rammaricarsene; sebbene sia noto che Domiziano abbia pagato meritatamente il fio della sua cupidigia e crudeltà. T. Flavio Petrone, cittadino di Rieti, centurione o richiamato (evocatus), durante la guerra civile, nell’esercito di Pompeo, dopo la battaglia di Farsalo, disertò e riparò in patria; quindi, ottenuto il perdono e il congedo, si mise a fare l’esattore nelle vendite all’asta. Suo figlio, di nome Sabino, esente dal servizio militare (anche se alcuni dicono che era primipilo e altri che, quando ancora guidava le file, era stato sciolto dal giuramento per motivi di salute), riscuoteva in Asia le entrate dell’imposta del quarantesimo, e rimanevano dei ritratti, a lui dedicati dai cittadini, con questa iscrizione: «A un esattore onesto». In seguito fu banchiere presso gli Elvezi, e in quel paese morì, lasciando la moglie Vespasia Polla e due figli avuti da lei, il maggiore dei quali, Sabino, arrivò fino alla prefettura dell’Urbe, il minore, Vespasiano, addirittura al principato.»

(Svetonio, Vespasiano, 1)

Le origini di Vespasiano, uscito vincitore dalla guerra nell’anno dei quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano), che aveva sconvolto l’impero romano dopo la morte di Nerone, erano modeste se confrontate ai Giulio-Claudi, discendenti di Cesare e di una delle più antiche famiglie patrizie romane, oltre a vantarsi di discendere da Venere e da Enea.

Il nonno di Vespasiano, Tito Flavio Petrone, era infatti centurione nell’esercito di Pompeo e dopo Farsalo disertò. Suo figlio, Tito Flavio Sabino, il padre di Vespasiano, fu un banchiere e un esattore, stimato per la sua integrità. La madre dell’imperatore, Vespasia Polla, era discendente di una ricca famiglia equestre di Norcia.

Vespasiano nacque a Falacrinae, un borgo nei pressi di Rieti, forse l’attuale Cittareale. Il fratello, Sabino, fu il primo a intraprendere la carriera politica e in seguito diventerà anche prefetto dell’Urbe, una delle cariche più prestigiose dell’impero. Allevato nella casa della nonna, Vespasiano intraprenderà la politica solo dietro pressione della madre:

«Fu allevato, sotto la guida della nonna paterna Tertulia, nella proprietà di Cosa. Per questa ragione, anche da imperatore, tornò spesso nei luoghi della sua infanzia, dal momento che la villa era stata lasciata come in passato affinché nulla andasse perduto di quanto era caro ai suoi occhi; ed ebbe tanta venerazione per la memoria della nonna da serbare l’abitudine di bere, nelle solennità pubbliche e private, in una piccola coppa d’argento a lei appartenuta. Dopo aver preso la toga virile, per molto tempo non si curò del laticlavio, sebbene suo fratello l’avesse già ottenuto, e solo dalla madre infine poté essere convinto a farne richiesta. Essa, più che con le preghiere o col peso della sua autorità, lo pungolò col sarcasmo, chiamandolo insistentemente, per umiliarlo, «lacchè» del fratello. Fu tribuno militare in Tracia come questore, ottenne in sorte la provincia di Creta e Cirene; candidato all’edilità e poi alla pretura, ottenne la prima non senza un insuccesso e poi classificandosi al sesto posto; la seconda, invece, sùbito, alla prima candidatura e ai primi posti.»

(Svetonio, Vespasiano, 2)

Seguirono alcuni successi, specialmente sotto Claudio, dove partecipò all’invasione della Britannia:

«Durante l’impero di Claudio, per raccomandazione di Narciso, fu inviato in Germania come comandante di una legione; di lì trasferito in Britannia, ebbe trenta scontri col nemico. Costrinse alla resa due popolazioni, più di venti città fortificate e l’isola di Vette, che è molto vicina alla Britannia, agli ordini sia del legato consolare Aulo Plauzio sia dello stesso Claudio. Per questo ricevette le insegne del trionfo e, in breve tempo, due sacerdozi, e inoltre un consolato che esercitò negli ultimi due mesi dell’anno.»

(Svetonio, Vespasiano, 4)

Successivamente Vespasiano governò la provincia d’Africa, senza arricchirsi. Tuttavia la sua onestà lo costrinse a ipotecare molte proprietà e a darsi al commercio di bestiame, finché non cadde in rovina sotto Nerone, che però qualche anno dopo lo richiamò per sedare la rivolta giudaica scoppiata nel 66:

«Durante il viaggio in Acaia, al seguito di Nerone, poiché, mentre l’imperatore cantava, o si allontanava troppo spesso o sonnecchiava alla sua presenza, si tirò addosso un danno enorme e, trovatosi escluso non solo dalla vita di corte ma anche dalle pubbliche udienze, si ritirò in una cittadina fuori mano fino a quando, mentre se ne stava nascosto e temeva ormai il peggio, gli fu offerto il governo di una provincia e il comando di un esercito. […] Poiché erano necessari, per domare quella rivolta, un esercito più consistente e un valente comandante al quale affidare, ma senza rischi, una sì ardua impresa, fu prescelto Vespasiano, soprattutto perché uomo di provato valore e tale da non dare ombra in alcun modo, per la modestia delle sue origini e del suo nome.»

(Svetonio, Vespasiano, 4)

Imperatore

Fu durante la repressione della ribellione giudaica che scoppiò la rivolta contro Nerone, dichiarato infine hostis publicus e suicidatosi. Rapidamente si susseguirono come imperatori Galba, Otone e Vitellio, tutti provenienti da occidente, finché anche Vespasiano non venne acclamato imperatore (poco prima gli era stato predetto da Giuseppe, uno dei capi della rivolta ebraica, e che per questo venne liberato, ottenne la cittadinanza, prendendo il nome di Flavio, e divenne uno dei principali collaboratori dell’imperatore, scrivendo poi la storia della guerra giudaica), e decise di attaccare Vitellio, rimasto unico imperatore a occidente:

«In séguito, quando Vespasiano rivestiva la carica di edile e C. Cesare (Caligola), adirato perché non aveva provveduto a far spazzare le strade, ordinò ai soldati di farlo imbrattare stipando fango nelle pieghe della sua pretesta, non mancarono quelli che interpretarono il fatto come se un giorno lo Stato, calpestato e derelitto per qualche sconvolgimento politico, dovesse rifugiarsi sotto la sua tutela e quasi nel suo grembo. […] E uno dei notabili prigionieri, Giuseppe, mentre veniva costretto in catene, tenacemente assicurava che presto sarebbe stato liberato dallo stesso Vespasiano, una volta divenuto imperatore.

Anche da Roma venivano annunciati presagi: Nerone, negli ultimi giorni della sua vita, era stato avvertito in sogno di trasferire il carro di Giove Ottimo Massimo dal tempio alla casa di Vespasiano e poi nel circo. Non molto dopo, mentre Galba inaugurava i comizi del secondo consolato, la statua del divo Giulio si era voltata da sola verso Oriente . Inoltre, sul campo di Bedriaco , prima della battaglia due aquile si erano scontrate sotto gli occhi di tutti e, dopo che una era stata sconfitta, da Oriente era sopraggiunta una terza, che aveva messo in fuga la vincitrice.
[…]

I duemila soldati delle tre legioni appartenenti all’esercito della Mesia, che erano stati mandati in aiuto di Otone, appena intrapresa la marcia, ricevettero la notizia della sconfitta e del suicidio di costui. Ciononostante proseguirono fino ad Aquileia, quasi senza tener conto di quelle voci. Lì, approfittando dell’occasione e dell’assenza di controllo, si erano dati ad ogni sorta di rapine. Temendo di doverne, al ritorno, rendere ragione e subire una condanna, decisero allora di scegliere e di nominare anche loro un imperatore, giacché ritenevano di non essere inferiori né all’esercito di Spagna che aveva eletto Galba, né a quello di Germania che aveva eletto Vitellio.

Così furono presentati i nominativi dei luogotenenti di rango consolare, dovunque allora si trovassero. Tutti venivano scartati per i più diversi motivi; finché alcuni soldati della terza legione, quella che verso la fine dell’impero di Nerone dalla Siria era stata trasferita in Mesia, esaltarono con grandi lodi Vespasiano. Ci fu un accordo generale e scrissero immediatamente il nome di Vespasiano su tutti i loro vessilli. Per allora, tale pronunciamento fu soffocato e le truppe vennero per qualche tempo richiamate al loro dovere. Ma poi il caso fu divulgato e Tiberio Alessandro, governatore dell’Egitto, per primo obbligò le legioni a giurare fedeltà a Vespasiano. Era il primo luglio, giorno che in séguito venne celebrato come l’inizio del suo principato.»

(Svetonio, Vespasiano, 5-6)

Girò anche una lettera, vera o falsa, in cui Otone, poco prima di venire sconfitto, pregava Vespasiano di vendicarlo. Le legioni danubiane appoggiarono il reatino e lo scontro finale avvenne nuovamente a Bedriacum, nel nord Italia, dove Vitellio aveva sconfitto Otone. Ma stavolta le truppe di Vespasiano, comandate da Antonio Primo, ebbero la meglio.

Mentre Antonio si avvicinava a Roma, il popolo abbandonò Vitellio, che venne linciato. Vespasiano, divenuto imperatore, ratificato con una lex de imperio Vespasiani (in cui gli vennero concessi tutti i poteri in un’unica soluzione), cominciò a rimettere ordine, ricoprendo ben otto consolati e la censura, a cui teneva molto:

“Roma era deturpata dai segni di crolli e di passati incendi; e Vespasiano permise a chiunque di occupare le aree vuote e di costruirvi sopra se i proprietari non prendevano iniziative. Di persona, avviando la ricostruzione del Campidoglio, per primo diede mano alla rimozione delle macerie e al trasporto di materiali. Prese inoltre l’iniziativa di restaurare tremila tavole di bronzo, che in blocco erano andate distrutte nell’incendio, dopo averne fatte ricercare ovunque le copie: era la più bella e la più antica raccolta di documenti imperiali, e conteneva le deliberazioni del Senato e i plebisciti relativi ad alleanze, trattati e privilegi a chiunque concessi, fin quasi dalla fondazione di Roma. Eresse anche nuovi edifìci: il tempio della Pace presso il foro e, sul colle Celio, quello del divino Claudio, che, già iniziato da Agrippina, era stato quasi completamente demolito da Nerone; inoltre un anfiteatro nel centro della città, come sapeva avere a suo tempo progettato Augusto. Con un nuovo censimento dei senatori e dei cavalieri, allontanando i più indegni e accogliendo i cittadini più rispettabili dell’Italia e delle province, epurò e completò gli ordini maggiori dello Stato dissanguati dalle ripetute uccisioni e degradati per inveterata trascuratezza. E, affinché fosse ben chiaro che i due ordini differivano tra loro non tanto per i diritti quanto per il rango, in una lite sorta tra un senatore e un cavaliere romano sentenziò che «non si dovevano ingiuriare i senatori, ma che, comunque, ricambiare gli insulti era un diritto civile e morale».”

(Svetonio, Vespasiano, 8-9)

Vespasiano edificò dunque il tempio della Pace, per la fine della guerra, e consacrò un nuovo anfiteatro al popolo romano, edificato col bottino della guerra giudaica, l’anfiteatro Flavio, nel luogo in cui sorgeva il lago della domus aurea, prosciugato. Nel medioevo avrebbe preso il nome di Colosseo, da una statua colossale di Nerone in bronzo che svettava nella vicinanze e che da Adriano era stata trasformata in una statua del dio Sole e spostata dalla zona dove sarebbe sorto il tempio di Venere e Roma verso il ludus magnus, dalla parte opposta.

Rome, Lazio, Italy, Europe

Inoltre Vespasiano, oltre a censire l’ordine senatorio e riedificare Roma, rimise in ordine i conti pubblici tramite un’amministrazione oculata e raccogliendo denaro anche da nuove tasse, come quella che impose sull’urina. Da allora i bagni si sarebbero chiamati vespasiani, e neanche le lamentele del figlio Tito bastarono a fargli cambiare idea:

“Al figlio Tito, che lo criticava perché aveva escogitato perfino un’imposta sull’urina, mise sotto il naso il denaro ricavato dal primo versamento, chiedendogli se era disturbato dall’odore; e poiché egli rispose di no: «Eppure», disse, «viene dall’urina». Quando certi ambasciatori gli annunciarono che gli era stata decretata, a spese pubbliche, una statua colossale, di non lieve costo, rispose che la erigessero anche subito e, mostrando il cavo della mano, disse che il «piedistallo era pronto».”

(Svetonio, Vespasiano, 23)

Morte

Dopo dieci anni di principato, con il Colosseo quasi ultimato, Vespasiano morì, il primo di sicura morte naturale dai tempi di Augusto. Era il 23 giugno del 79 d.C., e aveva sessantotto anni:

“[…] al primo attacco della malattia: «Ahimè», disse, «credo che sto diventando un dio».”

(Svetonio, vita di Vespasiano 23)


«Durante il suo nono consolato, colpito, in Campania, da leggeri attacchi di febbre e tornato immediatamente a Roma, si recò a Cutilio e nella campagna di Rieti, dove ogni anno era solito passare l’estate. Qui, oltre all’indisposizione che lo affliggeva, si era rovinato anche l’intestino con un’eccessiva quantità d’acqua gelata; nondimeno continuava a compiere, come al solito, i suoi doveri d’imperatore, tanto da ricevere le legazioni perfino mentre stava a letto. Ma, quando un improvviso attacco di diarrea lo ridusse allo stremo, disse che «un imperatore doveva morire in piedi»; e, mentre si sforzava di alzarsi, spirò tra le braccia di quelli che lo sostenevano, il 23 giugno, all’età di sessantotto anni, sette mesi e sette giorni.»

(Svetonio, vita di Vespasiano 24)

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