L’epoca degli Antonini (96-180) è ricordata come il periodo “d’oro” della storia di Roma: convenzionalmente è posto sotto di loro l’apogeo della romanità. In tale periodo prevalse il principio dell’adozione come metodo di scelta del successore (tuttavia ciò fu frutto solo del fatto che nessuno di questi imperatori avesse un successore diretto): principio che si rivelò decisamente efficace, poichè ogni imperatore di questa dinastia viene ricordato come un “ottimo principe”.

Nerva: l’inizio di un’epoca felice

Nato a Narni, nel 26 d.C., quindi sotto il principato di Tiberio, l’anziano senatore Marco Cocceio Nerva, già console nel 71 e nel 90, venne scelto come successore di Domiziano alla morte di quest’ultimo nel 96 d.C.

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Nerva

La veneranda età di 70 anni fu probabilmente sintomatica della volontà generale di avere un imperatore “di transizione”: Nerva era un senatore anziano molto stimato da tutti, che aveva volontariamente accettato di prendere il posto di Domiziano dopo il suo assassinio: il senato aveva già stabilito la linea prima della morte dell’ultimo principe dei Flavi.

Tuttavia Nerva, dopo l’assassinio di Domiziano avvenuto il 18 settembre del 96, riuscì nei sue due anni di governo a porre le basi per la dinastia più felice che abbia avuto l’impero romano: il 28 ottobre 97 – non sappiamo se con un abile colpo di mano o dietro pressioni di militari ispanici – decise infatti di adottare Marco Ulpio Traiano, governatore della Germania Superiore, militare di esperienza, nato in Betica ma di origini italiche.

Nel suo breve regno l’anziano imperatore promosse immediatamente la damnatio memoriae dell’ultimo imperatore della dinastia flavia, richiamò gli esiliati e punì i delatori, proibendo i processi di lesa maestà.

Cercò di alleviare la popolazione con l’abolizione della vigesima hereditatum (la ventesima sulla successione per i cittadini romani), distribuzioni di alimenti e comprare proprietà per darle a piccoli contadini.

Il 28 gennaio del 98 d.C. Nerva spirò; nonostante avesse parenti preferì come successore un uomo cui non era imparentato. Sebbene anziano gestì con moderazione e saggezza l’impero, lasciando come erede un uomo decisamente capace.

Traiano: l’ottimo principe

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Traiano

Nato a Italica, in Betica (nel sud della Spagna) nel 53 d.C., Traiano discendeva da antichi coloni italici che avevano colonizzato la provincia fin dai tempi di ScipioneIl 28 ottobre del 97 d.C., mentre era legato in Germania Superiore, divenne Marco Ulpio Nerva Traiano in seguito all’adozione da parte dell’imperatore, acquisì tutti i poteri, il titolo di Cesare e Augusto, la tribunicia potestas, l’imperium proconsulare: di fatto era diventato successore di Nerva.

Traiano ne era al corrente? O era stato lui stesso a manovrare i pretoriani per farsi adottare da Nerva? O era stato l’imperatore stesso a adottarlo per placare i pretoriani? Non ne abbiamo idea.

Dietro richiesta di Nerva Traiano restò sul Reno, ma esattamente tre mesi dopo, il 28 gennaio del 98 d.C., Nerva morì. Fu un certo Publio Elio Adriano – il futuro imperatore – ad annunciare, a Colonia, a Traiano la morte di Nerva e quindi di essere diventato imperatore.

Come uomo Traiano era di semplici costumi, avvezzo alla vita militare, che amava particolarmente ed estremamente rispettoso delle tradizioni repubblicane: entra a piedi a Roma, in mezzo alla folla, come un comune cittadino e così raggiunge il Palatino; allo stesso modo a 60 anni attraversava l’Eufrate a nuoto.

E infatti è proprio militarmente che Traiano è straripante e passa alla storia: sotto di lui l’impero passa all’attacco come poche volte nel secolo precedente. La sua prima campagna è quella dacica: già sotto Domiziano i daci erano diventati un problema lungo il Danubio e per questo Traiano intraprende ben due campagne militari. La prima, conclusa nel 102, non porta all’annessione ma comunque alla sconfitta del re Decebalo e al successivo trionfo. Tuttavia le ostilità riprendono e questa volta, tra il 105 e il 107, con una massiccia operazione militare, l’esercito romano guidato da Traiano straripa oltre il Danubio, cancellando la Dacia preesistente, Sarmizegetusa, la capitale, è presa e saccheggiata, i daci massacrati.

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La Dacia Romana

Viene istituita la nuova provincia di Dacia e ripopolata da cittadini romani: l’impatto demografico è talmente forte che tutt’ora la Romania (il nome già dice molto) è l’unica regione danubiana ad aver mantenuto una lingua di derivazione latina (e tra l’altro tra le più simili al latino stesso). Nel 106, mentre i romani distruggono la capitale di Decebalo e raccolgono quantità immense d’oro – si suppone che uno dei motivi della guerra fosse quello di mettere le mani sull’oro dacico – viene annessa l’Arabia, con una successiva penetrazione romana sul mar Rosso e quindi una maggiore tutela dei commerci con l’oriente.

Forse sulla scia di questa ricerca del commercio con l’oriente è la campagna militare che Traiano intraprende nel 113 contro il regno dei parti: Traiano penetra in profondità e mette a segno numerose vittorie, conquista la capitale dei Parti Ctesifonte e annette l’Armenia; i romani insomma arrivano al golfo Persico.

Almeno finché non scoppia una rivolta ebraica nelle province orientali, a partire dalla Cirenaica: non potendo affrontare in alcun modo le legioni romane i parti fomentano la rivolta ebraica. Traiano nel 117 è costretto a ritornare ad Antiochia, che era stata anche colpita da un forte terremoto nel 115 (momento in cui Traiano era stato costretto a trovare rifugio nel circo) e dove, ammalatosi, trova la morte l’11 agosto del 117 d.C.

“Così grande era la calamità che travolse Antiochia in questo momento. Traiano si fece strada attraverso una finestra della stanza in cui era alloggiato. Qualcuno più grande della statura umana, sembra sia venuto da lui a prenderlo, per portarlo via, in modo che riuscì a fuggire con solo alcune lievi ferite, e sebbene la situazione perdurasse per diversi giorni, visse fuori di casa nell’ippodromo. Anche il monte Casio subì pesanti scosse di terremoto, tanto che le sue stesse vette sembravano chinarsi e rompersi, pronti a gettarsi sulla stessa città. Molte colline si assestarono, molta acqua non precedentemente visibile venne alla luce, mentre molti corsi d’acqua scomparvero.”

(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 25.5-6.)

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L’impero alla morte di Traiano

Nel 114 Traiano decise di accettare il titolo, da parte del senato, di optimus princeps, che condivideva con Giove. Nel Panegirico di Traiano, scritto da Plinio il Giovane, tratteggia l’imperatore come il principe ideale e lo stesso fa Dione di Prusa nei Discorsi sulla regalità: sostanzialmente Traiano è il perfetto civis romanus. Con il senato Traiano si comporta rispettosamente: aumentano sempre più i provinciali, che sono quasi la metà, ma l’imperatore obbliga ogni senatore a possedere almeno un terzo delle proprietà in Italia.

Tuttavia lascia che il senato elegga i magistrati senza intromissioni (tranne alcuni casi come l’invio di Plinio in Bitinia) e perfeziona l’amministrazione, con una carriera definita per il ceto equestre, che ora ha il controllo degli apparati e uffici burocratici di tutto l’impero: tutti gli uffici centrali sono diretti da cavalieri tranne quello a libellis et censibus. 

Traiano è anche ricordato come uomo buono: rispetta gli altri e non si comporta come tiranno. Si narra che in partenza per la campagna dacica una donna si getta ai suoi piedi chiedendo giustizia per il figlio ucciso: Traiano risponde che se ne occuperà al ritorno, la donna che potrebbe non tornare, allora l’imperatore dice che se occuperà l’erede, al che la donna gli fa presente che non ha eredi. In quel momento Traiano smonta da cavallo e cerca l’assassino, e solo dopo averlo trovato e assicurato alla giustizia riparte per la sua spedizione.

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Delacroix – La justice de Trajan

Infine Traiano perfeziona il sistema degli alimenta, creato da Nerva: si tratta di prestiti perpetui al 5% concessi dal fisco imperiale ai proprietari italici; i proventi, riscossi dalle amministrazioni cittadine, erano usati per i bambini poveri. In tal modo si cercava sia di favorire la piccola proprietà italica sia di aumentare la quantità di italici “recrutabili”.

Il regno di Traiano apporta poche correzioni nel complesso all’epoca di Domiziano (più che altro lascia una forte impronta edilizia grazie ai massicci bottini raccolti – come la costruzione del porto esagonale di Ostia e di numerosi monumenti celebrativi, come archi di trionfo), ma lascia un’ottima impressione ai contemporanei, tanto da lasciare l’espressione per i posteri: agli imperatori successivi si augura di essere “più felici di Augusto e migliori di Traiano“.

Adriano: prudenza, viaggi e amministrazione

Publio Elio Adriano nacque nel 76 d.C., forse in Baetica, a Italica (come Traiano, di cui era cugino, sebbene non sia certa la parentela; la madre Domizia Paolina o la madre del nonno paterno erano in qualche modo imparentati con Ulpia, zia di Traiano), forse a Roma. Tuttavia Traiano, ammalatosi, decise solo nei suoi ultimi giorni di adottare Adriano e quindi designarlo come suo erede.

La lettera che procedeva all’adozione di Adriano era tra l’altro firmata da Plotina, moglie di Traiano e datata 9 agosto del 117. L’imperatore, ammalato, avrebbe infatti designato il giorno precedente Adriano come suo successore, e soltanto l’11 agosto, giorno della morte di Traiano, il suo pronipote sarebbe venuto a conoscenza di essere il suo erede. Ma siamo veramente certi della veridicità di questa adozione? O è stata una manovra di Plotina e dei militari per mantenere l’impero “in famiglia”? Tutto sommato Adriano era stato compagno militare di Traiano negli anni, console suffetto nel 108 – a 32 anni -, nel 111-112 arconte di Atene (un gran privilegio per un romano), ma soprattutto è costantemente al fianco di Traiano nelle sue campagne, e ciò forse è la più genuina prova della volontà di Traiano (espressa verbalmente o tacitamente dalla penna di Plotina) di averlo come suo erede.

Il nuovo imperatore era infatti in quel momento in Siria come governatore della provincia e tornò a Roma solo nel 118. Sebbene avesse combattuto per molto tempo, l’indole di Adriano era diversa: decise di abbandonare le conquiste oltre l’Eufrate, che sembravano impossibili da mantenere a meno di un forte dispendio di uomini e risorse e dedicò la sua attenzione al mantenimento delle frontiere: tra queste opere può ricondursi il celebre vallo di Adriano, in Britannia.

Adriano a differenza di Traiano ama l’arte, l’oriente, la filosofia: si fa costruire una splendida villa a Tivoli, dove può vivere al meglio il suo otium, e viaggia ovunque; raramente staziona in Italia e quando lo fa sta nella sua villa di Tivoli. Gira l’impero in lungo e in largo, per dodici dei suoi ventuno anni di regno, dove cura l’amministrazione delle province e si dedica totalmente alla cultura greca.

Adriano e Antinoo
Adriano e Antinoo

Dal punto di vista amministrativo è molto più autoritario di Traiano; già nel 118 quattro consolari vengono messi a morte, non sappiamo se dietro ordine dell’imperatore ma è verosimile crederlo. A livello legislativo l’editto del pretore è soppiantato dall’editto perpetuo dell’imperatore e affina ulteriormente la carriera equestre stabilita da Traiano.

La fortuna della figura di Adriano è dovuta in parte al libro di Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, in cui la personalità e l’amore per l’arte e la filosofia dell’uomo contrasta profondamente con il suo dovere come imperatore. Allo stesso modo l’imperatore combatte tra la necessità di un unione “legittima” e il suo amore per il giovane Antinoo, che tuttavia affoga in Egitto, nel Nilo, durante uno dei numerosi viaggi di Adriano, attorno al 130.

“Durante una navigazione sul Nilo perse Antinoo, e lo pianse con accenti femminili. Alcuni insinuarono ciò che la bellezza del giovane e la sensualità di Adriano lasciano immaginare.”

(Elio Sparziano, Historia Augusta 14)

La disperazione dell’imperatore lo condusse a fondare Antinopoli, in cui venne seppellito l’amico e amante, oltre a divinizzare il giovane scomparso tragicamente.

Tra il 132 e il 135 scoppiò la terza guerra giudaica, 60 anni dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme e vent’anni dopo la sollevazione avuta sotto Traiano: il motivo della rivolta questa volta fu il tentativo di Adriano – secondo quanto riporta l’ Historia Augusta (Adriano, 14, 2) – di proibire la circoncisione, ritenuta una pratica barbara. Cassio Dione (Storia romana, 69, 12), invece, narra che il motivo fu la costruzione del tempio di Giove a Gerusalemme sui resti del Tempio di Salomone.

Antonino Pio

Simon Bar Kochba guidò l’insurrezione, che portò a un violento scontro armato. Questa volta Adriano fu meno comprensivo di Vespasiano e Tito: la città di Gerusalemme fu rasa al suolo, gli ebrei deportati (l’inizio della grande diaspora), si cercò di eradicare completamente l’ebraismo e la città rinominata Aelia Capitolina, ripopolata di pagani e con un tempio di Giove svettante dove prima sorgeva il Tempio. Poco tempo dopo, il 10 luglio del 138, l’imperatore si spegneva a Baia.

Antonino Pio: la pace nell’impero

Lucio Elio Vero era stata la prima scelta di Adriano, ma morì improvvisamente pochi mesi prima dell’imperatore. Perciò Adriano decise che a succedergli sarebbe stato Tito Aurelio Fulvo Antonino (da qui il nome di Marco Aurelio Antonino), noto come Antonino Pio per la saggezza e l’epoca d’oro. Seguendo il principio dell’adozione in vigore fin da Nerva, Adriano scelse dunque uno dei più facoltosi e prestigiosi senatori della sua epoca: il nonno era stato prefectus urbis e console due volte, l’altro proconsole d’Asia e due volte console.

Antonino, nato nell’ 86 a Lanuvio nel Lazio (sebbene fosse in parte originario di Nimes, nella Narbonense), di famiglia illustre, aveva ricoperto il consolato nel 120 e ed era stato proconsole d’Asia tra il 133 e il 136, inoltre faceva parte del prestigioso consilium principis (un senato ristretto).

Ma Antonino avrebbe dovuto adottare Marco Aurelio e Lucio Vero, che sarebbero infatti diventati imperatori nel 161, alla morte di Antonino, sebbene Marco Aurelio ebbe fin da subito una posizione di primato fra i due.

Marco Aurelio sposò la figlia di Faustina, Faustina minore, rafforzando così il legame con Antonino, nel 145 d.C. I due erano cugini (la madre Faustina era la zia di Marco Aurelio) e lei divenne Augusta nel 147 d.C. Sotto Antonio si vive quella che sarà ricordata come una vera “età dell’oro”: niente guerre, ma solo pace e prosperità, tanto che Elio Aristide dirà – con un gioco di parole particolarmente efficace in latino – che Roma “aveva trasformato l’orbe in Urbe” nel suo Elogio di Roma. I romani si spingono perfino più a nord in Britannia, con la costruzione di un vallo ancora più a nord, nel punto più stretto dell’isola.

Un uomo, Antonino, tutto d’un pezzo, saggio, giusto, tanto da meritare l’appellativo di Pio; ed è così che lo ricorda Marco Aurelio nei suoi pensieri (I, 6). L’imperatore non si muove praticamente mai dall’Italia. Sotto di lui si festeggia, nel 148, il 900esimo anniversario della nascita di Roma. Antonino sarebbe stato talmente buono che l’ultima parola d’ordine data al tribuno pretoriano di guardia sarebbe stata “aequanimitas” – serenità d’animo.

Marco Aurelio: l’imperatore filosofo

Marco ebbe un’importante formazione oratoria e filosofica; l’amore per la filosofia sarà una costante, tanto da essere ricordato come l’imperatore filosofo: ossequioso del senato e sempre attento ai problemi morali, fortemente stoico. Ebbe come maestro Frontone, il più grande oratore romano della sua epoca.

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Marco Aurelio

Il futuro imperatore venne investito dell’ imperium e della tribunicia potestas già diversi anni prima del suo principato. Negli ultimi anni del regno di Antonino affiancò l’anziano imperatore e Marco e Lucio Vero vennero designati consoli per il 161. Antonino Pio spirò a settantacinque anni, mentre Lucio e Marco erano consoli. Marco Aurelio assunse tutti i poteri e anche il pontificato massimo nonostante si mostrasse titubante e molto rispettoso del senato.

Sebbene Marco fosse l’unico imperatore, volle che il senato desse il titolo di Augustus anche a Lucio Vero: per la prima volta c’era una vera e propria collaborazione di due imperatori, anche se Marco Aurelio aveva un’influenza e un’autorità nettamente maggiore. L’unico titolo che aveva soltanto Marco era il pontificato massimo, per il resto ci si comportava come una vera e propria diarchia: anche i documenti ufficiali riportavano i nomi dei due imperatori.

Marco inizialmente si dedicò alla cura dello stato, comportandosi nella maniera più giusta possibile. Il regno dell’imperatore filosofo sarebbe stato però devastato da due minacce gravissime: la peste antonina e la guerra, prima contro i parti e poi contro i quadi e i marcomanni.

Lucio, con l’aiuto di Avidio Cassio (legato della legio III gallica), inflisse durissime sconfitte ai parti, prendendo l’Armenia e ottenendo l’appellattivo di Armeniaco, e successivamente i romani distrussero completamente l’esercito partico nella battaglia di Doura Europos: i romani dilagarono in Mesopotamia.

Tuttavia, di ritorno dall’oriente, l’esercito portò con sé la terribile peste antonina: flagellerà l’impero riducendo drasticamente la popolazione e di conseguenza il gettito fiscale, con ripercussioni sul lungo periodo disastrose. Scoppiata attorno al 165, durerà un ventennio, portando morte in ogni angolo dell’impero; oggi si credo che in realtà non fosse peste ma addirittura vaiolo: l’impatto su un impero premoderno e preindustriale devono essere stati catastrofici considerando il basso tasso di natalità.

Nel frattempo, lungo il Danubio premevano altre popolazioni: i quadi e i marcomanni.  I barbari avevano cominciato a premere lungo i confini del Reno e del Danubio, pressati dal altre popolazioni germaniche orientali e settentrionali. I catti avevano invaso la Germania nel 162 ma erano stati respinti; nel 166 i marcomanni attraversarono il Danubio.

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Commodo

Una coalizione di popolazioni barbari composta da quadi, marcomanni, sarmati, iazigi e altri attaccarono la Pannonia alla ricerca di terre e sicurezze. La frontiera all’epoca era insicura per via delle numerose vexillationes inviate in oriente per la guerra partica e la peste antonina.

Lucio morì nel 169 e Marco rimase unico imperatore. Nel frattempo, i romani, sconfitti, subirono l’assedio di Aquileia da parte dei barbari: era dall’epoca di Gaio Mario che popolazioni barbare non penetravano in Italia. Fu allora che l’imperatore diede in sposa la figlia Lucilla, vedova di Lucio, al comandante del suo esercito contro i barbari, Tiberio Claudio Pompeiano, che rifiutò la porpora.

Marco Aurelio fu costretto a misure straordinarie, compreso l’arruolare nuove legioni e reclutare schiavi e gladiatori. L’imperatore difese l’Italia e poi passò all’offensiva, con una violenta avanzata anche oltre il Danubio, costringendo l’imperatore filosofo a restare in guerra, lontano da Roma per anni.

Nel frattempo, circolata la falsa notizia della grave malattia di Marco Aurelio, Avidio Cassio – divenuto governatore d’Egitto – era stato acclamato imperatore nel 175. Ma Marco stava bene e voleva risolvere la questione pacificamente. Tuttavia il senato dichiarò Avidio hostis publicus e quest’ultimo venne ucciso dai suoi stessi soldati.

Infine Marco passò all’offensiva totale, attraversando il Danubio, con il progetto di annettere i territori oltre il Danubio, con la costruzione di forti romani oltre il limes. Tuttavia nel 180 si ammalò gravemente, forse colto anch’egli dalla peste antonina.

Marco Aurelio morì il 17 marzo del 180, gravemente malato. Si lasciò andare, seguendo la filosofia stoica che tanto amava: si spense dopo alcuni giorni di digiuno, al fronte. Il figlio Commodo, ben più avvezzo a mollezze del padre, decise di firmare una frettolosa pace e tornare a Roma a godersi i giochi gladiatori.


L’epoca d’oro degli Antonini è dunque frutto di una creazione letteraria e storiografica o è stata realmente un’epoca felice?

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Gli Antonini: il principio dell’adozione
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