Nella selva di Teutoburgo i romani resistettero per tre giorni prima di soccombere, quando ormai i sopravvissuti erano prossimi all’uscita dalla foresta. Così Cassio Dione racconta la resistenza romana:

« Varo pose la sua fiducia su entrambi [Arminio ed il padre Sigimero], e poiché non si aspettava nessuna aggressione, non solo non credette a tutti quelli che sospettavano del tradimento e che lo invitavano a guardarsi alle spalle, anzi li rimproverò per aver creato un inutile clima di tensione e di aver calunniato i Germani […] il piano procedeva come stabilito. [Arminio e i suoi Germani scortarono Varo] […] e dopo aver ottenuto il permesso di fermarsi ad organizzare le forze alleate per poi andargli in aiuto, presero il comando delle truppe [quelle nascoste nella selva di Teutoburgo], le quali erano già pronte sul luogo stabilito [per l’agguato] […] dopo di ciò le singole tribù uccisero i soldati che erano stati lasciati a presidio dei loro territori […] e poi assalirono Varo che si trovava nel mezzo di una foresta da cui era difficile uscire […] e là […] si rivelarono nemici. »

CASSIO DIONE COCCEIANO, STORIA ROMANA, LVI, 19

Un disastro annunciato

La colonna romana, distesa su molti chilometri e formata da tre legioni e diversi reparti ausiliari, venne attaccata puntualmente e ripetutamente, senza che i romani potessero opporre una vera e propria resistenza, non potendosi schierare a battaglia.

« I barbari, grazie alla loro ottima conoscenza dei sentieri, d’improvviso circondarono i Romani con un’azione preordinata, muovendosi all’interno della foresta ed in un primo momento li colpirono da lontano [evidentemente con un continuo lancio di giavellotti, aste e frecce] ma successivamente, poiché nessuno si difendeva e molti erano stati feriti, li assalirono. I Romani, infatti, avanzavano in modo disordinato nel loro schieramento, con i carri e soprattutto con gli uomini che non avevano indossato l’armamento necessario, e poiché non potevano raggrupparsi [a causa del terreno sconnesso e degli spazi ridotti del sentiero che seguivano] oltre ad essere numericamente inferiori rispetto ai Germani che si gettavano nella mischia contro di loro, subivano molte perdite senza riuscire ad infliggerne altrettante. »

CASSIO DIONE COCCEIANO, STORIA ROMANA, LVI, 20, 4-5

Tuttavia, nonostante questo, i romani resistettero per tre giorni. Alla fine del primo giorno, sebbene le perdite fossero numerose, Varo riuscì ad accamparsi su un’altura. Ma i romani erano ormai accerchiati e nel mezzo della foresta. Nel corso del secondo giorno Varo tentò di portare l’esercito fuori dalla selva, dopo aver abbandonato tutti gli impedimenta e tentato di serrare i ranghi. I romani però non riuscivano a dispiegare i reparti nella foresta e finivano per darsi fastidio a vicenda mentre i germani li attaccavano. Il terzo giorno fu la fine: ripreso a piovere copiosamente e decimati, i romani furono attaccati senza tregua. Varo si tolse la vita, mentre i sopravvissuti che erano in procinto di raggiungere l’uscita della foresta furono quasi del tutto massacrati dai germani.

« Quintilio Varo si mostrò più coraggioso nell’uccidersi che nel combattere […] e si trafisse con la spada »

VELLEIO PATERCOLO, STORIA ROMANA, II, 119, 3

Tre legioni (la XVII, XVIII e XIX) furono sterminate e mai più ricostruite. Quando la notizia giunse a Roma Augusto perse completamente la testa, sia per la rabbia sia per il timore di un’invasione germanica. Narra Svetonio che Augusto prendesse a testate il muro gridando contro Varo:

« Quando giunse la notizia… dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: “Varo rendimi le mie legioni!”. Dicono anche che considerò l’anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e tristezza”. »

« Augusto quando seppe quello che era accaduto a Varo, stando alla testimonianza di alcuni, si strappò la veste e fu colto da grande disperazione non solo per coloro che erano morti, ma anche per il timore che provava per la Gallia e la Germania, ma soprattutto perché credeva che i Germani potessero marciare contro l’Italia e la stessa Roma. »

SVETONIO, VITE DEI DODICI CESARI II, 23; CASSIO DIONE COCCEIANO, STORIA ROMANA, LVI, 23, 1

Per i sopravvissuti di Teutoburgo la fine fu terribile: molti, catturati, vennero torturati ed esibiti come trofei. Specialmente centurioni e comandanti furono inchiodati ad alberi e seviziati a lungo, per compiere riti propiziatori barbarici. Qualche anno dopo Germanico tornò sul campo di battaglia e trovò i resti dei sopravvissuti, che fece seppellire. La vendetta romana sarebbe giunta a Idistaviso dove Germanico sconfisse nettamente l’esercito di Arminio, che però riuscì a fuggire e morì alcuni anni dopo ucciso da altri capi barbarici che mal digerivano la sua posizione di potere.

«La crudeltà dei nemici germani aveva fatto a pezzi il cadavere, quasi completamente carbonizzato, di Varo, e la sua testa, una volta tagliata, fu portata a Maroboduo, il quale la inviò a Tiberio Cesare, perché fosse seppellita con onore […] Poiché i Germani sfogavano la loro crudeltà sui prigionieri romani, Caldo Celio [caduto prigioniero], un giovane degno della nobiltà della sua famiglia, compì un gesto straordinario. Afferrate le catene che lo tenevano legato, se le diede sulla testa con tale violenza da morire velocemente per la fuoriuscita di copioso sangue e delle cervella.»

«Ad alcuni soldati romani strapparono gli occhi, ad altri tagliarono le mani, di uno fu cucita la bocca dopo avergli tagliato la lingua.»

«[Germanico giunse sul luogo della battaglia, ove] nel mezzo del campo biancheggiavano le ossa ammucchiate e disperse […] sparsi intorno […] sui tronchi degli alberi erano conficcati teschi umani. Nei vicini boschi sacri si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni ed i principali centurioni.»

VELLEIO PATERCOLO, STORIA ROMANA II, 119-20
FLORO, EPITOME DE T. LIVIO BELLORUM OMNIUM ANNORUM DCC LIBRI DUO, II, 36-37
TACITO, ANNALI, I, 61

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I caduti di Teutoburgo
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