Tra il 66 e il 62 a.C. Pompeo estese il dominio romano su praticamente tutto l’oriente fino alla Mesopotamia; sconfisse Mitridate, Tigrane, conquistò la Siria ponendo fine al regno seleucide di Antioco XIII e infine prese Gerusalemme. Creò infine la nuova provincia di Siria e Ponto (unito alla Bitinia), mentre la provincia d’Asia, la più ricca e importante d’oriente, veniva ampliata.

Le enormi ricchezze tratte dall’oriente furono in parti ridistribuite come donativi all’esercito; ogni soldato ricevette 1.500 dracme attiche e molto di più, in proporzione, gli ufficiali, per un totale di ben 16.000 talenti. Infine, imbarcatosi a Efeso, fece ritorno a Roma nell’autunno del 62 a.C., dove avrebbe celebrato un altro trionfo, il terzo, e avrebbe ricevuto il titolo di Magno.

«Furono catturate e condotte nei porti 700 navi armate di tutto punto. Nella processione trionfale vi erano due carrozze e lettighe cariche d’oro o con altri ornamenti di vario genere; vi era anche il giaciglio di Dario il Grande, figlio di Istaspe, il trono e lo scettro di Mitridate Eupatore, e la sua immagine a quattro metri di altezza in oro massiccio, oltre a 75.100.000 di dracme d’argento. Il numero di carri adibiti al trasporto di armi era infinita, come pure il numero dei rostri delle navi. […] Davanti a Pompeo furono condotti satrapi, figli e comandanti del re [del Ponto] contro i quali [Pompeo] aveva combattuto, che erano (tra quelli catturati e quelli dati in ostaggio) in numero di 324. Tra questi c’era il figlio di Tigrane II, cinque figli maschi di Mitridate, chiamati Artaferne, Ciro, Osatre, Dario e Serse, ed anche due figlie, Orsabari ed Eupatra. […] su un cartello era rappresentata questa iscrizione: rostri delle navi catturate pari a 800; città fondate in Cappadocia pari a 8; in Cilicia e Siria Coele pari a 20; in Palestina pari a quella che ora è Seleucis; re sconfitti erano l’armeno Tigrane, Artoce l’iberico, Oroze d’Albania, Dario il Mede, Areta il nabateo ed Antioco I di Commagene. […] Tale era la rappresentazione del trionfo di Pompeo.»

Appiano di Alessandria, Guerre mitridatiche, 116-117

Contrariamente a quanto temuto da molti, Pompeo sciolse l’esercito e non si presentò alle elezioni consolari per l’anno successivo anche se avrebbe voluto, perché varcare il pomerium gli avrebbe fatto perdere il diritto al trionfo. Pompeo non si impuntò e si adeguò al volere del senato, ma fece pressioni per far eleggere un suo pupillo, Afranio; pare che ci furono grossi esempi di corruzione per la sua elezione, con moltissimi che si recavano a casa di Pompeo fuori dal pomerium.

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Un accordo privato

Nonostante Pompeo e Crasso non avessero grossa stima reciproca, entrambi miravano al potere ma ne erano in qualche modo ostacolati dalla situazione. Si insinuò in questo contesto un senatore romano, discendente da una nobilissima famiglia, Gaio Giulio Cesare. Quest’ultimo propose a entrambi di formare un triumvirato, un accordo privato, in cui l’elezione di uno dei tre avrebbe potuto aiutare gli altri; Pompeo aveva bisogno ad esempio di distribuire le terre ai veterani, ma senza il consolato non poteva farlo. Nel 59 a.C. infatti Cesare sarà eletto console, assicurandosi per l’anno successivo il comando della Gallia Cisalpina e l’Illirico, da cui sarebbe iniziata la campagna gallica, mentre Pompeo otteneva la Spagna, che governava però da Roma.

Nel 56 a.C. a Lucca ci fu un nuovo incontro tra i triumviri, con Cesare che aveva acquisito ormai un ruolo paritario; venne deciso che l’anno successivo sarebbero stati consoli Pompeo e Crasso, con quest’ultimo che avrebbe avuto il comando della Siria, per attaccare i parti (dove trovò la morte a Carre nel 53 a.C.), mentre a Cesare veniva rinnovato per cinque anni il comando proconsolare in Gallia. Pompeo invece continuava a governare la Spagna in absentia, da Roma. L’incontro di Lucca è emblematico dello stato di corruzione in cui versava ormai la repubblica, controllata da pochi uomini facoltosi e potentissimi, che potevano manipolare le elezioni a loro piacimento, elargendo somme di denaro e favori ai propri clientes.

Con la scomparsa di Crasso, Pompeo forse non si rese conto del peso che aveva acquisito Cesare, sottovalutandolo. Dopo l’attraversamento del Rubicone probabilmente credeva che le sue ricchezze e clientele in tutto il Mediterraneo gli avrebbero permesso di avere talmente tanti soldi e soldati che Cesare non sarebbe mai potuto essere un problema per lui.

Tuttavia venne sconfitto da quest’ultimo a Farsalo, in Tessaglia, nel 48 a.C. Ripiegò, sconfitto, ad Alessandria, dove mirava di ottenere l’aiuto dei sovrani tolemaici. Ma Tolomeo XIII, forse per ottenere il favore di Cesare, lo fece assassinare e quando questi arrivò ad Alessandria gli diede la sua testa. Ma Cesare reagì disgustato secondo Cassio Dione:

«Cesare dunque, avendo visto la testa di Pompeo, si mise a piangere e si lamentò, chiamandolo cittadino e genero, ed enumerando tutto quanto un tempo si erano dati in cambio l’uno con l’altro. Disse che non c’era modo di esser debitore a quelli che lo avevano ucciso di una qualche gratitudine, anzi li accusava, e ordinò ad alcuni (del seguito) di adornarla, di disporla convenientemente e di seppellirla»

Plutarco aggiunge:

«… si girò via con ripugnanza, come da un assassino; e quando ricevette l’anello con il sigillo di Pompeo su cui era inciso un leone che tiene una spada nelle sue zampe, scoppiò in lacrime.»

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Il primo triumvirato – Cesare, Pompeo, Crasso
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