Quando, alla morte di Costanzo Cloro, le truppe britanniche acclamarono il figlio Costantino imperatore, seguendo un’usanza consolidata nel III secolo, si ruppe il sistema della tetrarchia. In Italia Massenzio, figlio di Massimiano, costretto ad abdicare insieme a Diocleziano, decise di comprare l’esercito e farsi acclamare anch’egli imperatore. Tuttavia Costantino riuscì a mantenere una parvenza di legalità e ottenere l’appoggio di Massimiano e quindi di Diocleziano, che non riconobbero, in seguito agli accordi di Carnuntum del 308, Costantino come Cesare e Massenzio come usurpatore.

La battaglia di Ponte Milvio

Costantino

Dopo essersi liberato del suocero Massimiano (aveva infatti sposato Fausta, sorella di Massenzio) e una lunga marcia e alcune battaglie vittoriose, tra cui Torino e Verona, Costantino giunse alle porte di Roma, dove Massenzio aveva deciso di aspettarlo. Con ogni probabilità quest’ultimo aveva un numero di forze maggiori, anche se i numeri forniti da Zosimo appaiono esagerati (90.000 fanti e 8.000 cavalieri per Costantino; 170.000 fanti e 18.000 cavalieri per Massenzio, tra i quali ben 80.000 italici); sembrerebbe più attendibile la stima dei Panegyrici latini, che racconta di 40.000 uomini per Costantino e 100.000 per Massenzio. In ogni caso Costantino partiva numericamente svantaggiato.

Secondo Lattanzio Costantino ebbe una visione in cui Cristo lo esortava ad apporre un segno sugli scudi dei propri soldati, forse uno staurogramma, ossia una croce latina con la parte superiore cerchiata come una P, forse il simbolo di Cristo, il chi-rho, una XP incrociata.

Eusebio riporta due versioni. La prima, contenuta nella Storia ecclesiastica, afferma esplicitamente che il dio cristiano abbia aiutato Costantino, ma non menziona nessuna visione. Nella Vita di Costantino Eusebio racconta che Costantino stava marciando col suo esercito quando, alzando lo sguardo verso il sole, vide una croce di luce e sotto di essa la frase greca “eν tουτω nικα”, reso in latino come in hoc signo vinces, ossia “con questo segno vincerai”.

Inizialmente insicuro del significato, Costantino ebbe nella notte un sogno nel quale Cristo gli spiegava di usare il segno della croce (lo stataurogramma o il cristogramma) contro i suoi nemici. Eusebio poi descrive il labarum, lo stendardo usato da Costantino (e poi divenuta l’insegna imperiale romana) nella guerra civile contro Licinio, recante il segno ‘chi-rho‘ (le prime due lettere di Cristo in greco).

Massenzio dispose i suoi soldati nei pressi di Saxa Rubra con il Tevere alle spalle e fece costruire un ponte di legno alle sue spalle. Probabilmente era convinto che con il fiume alle spalle avrebbero combattuto con più furore (secondo Nazario i soldati dell’ultima fila avevano i piedi nell’acqua; con ogni probabilità Massenzio dubitava delle fedeltà di molti e in questo modo li costrinse a combattere), e che la località poco pianeggiante avrebbe sfavorito la cavalleria del suo rivale ma non fu così.

Costantino attaccò furiosamente i fianchi di Massenzio, guidando personalmente la cavalleria (secondo Nazario indossava un’armatura, uno scudo e un elmo dorato) mettendoli in fuga, dopodiché attaccò lateralmente la fanteria. Quest’ultima andò in rotta e rimasero a tenere il campo i soli pretoriani, che furono trucidati (Costantino ne sciolse il corpo per vendicarsi e non furono più ricostruiti); pare che i loro corpi furono ritrovati esattamente sul posto in cui avevano combattuto. Massenzio, in fuga, finì annegato nel Tevere poiché il ponte non resse il peso di tanti uomini in fuga e crollò.

Costantino non rimase a lungo a Roma. Il senato comunque gli dedicò un arco di trionfo, attualmente di fronte al Colosseo. Tuttavia sull’arco, fatto con ampio materiale di recupero, non compare mai nessun simbolo cristiano, nemmeno sugli scudi dei soldati di Costantino.

Le prime avvisaglie del cambiamento

Il quale vietò i sacrifici e proibì la crocifissione. Uccise i parenti di Massenzio e sciolse la guardia pretoria senza più riformala. Al suo posto vennero istituite le scholae palatinae, fatte di molti elementi germanici. Al contempo diede il via a un rinnovamento dell’esercito, affidandolo a un magister militum (per la fanteria) e un magister equitum (per la cavalleria). A partire da lui si comincerà a distinguere anche tra truppe di frontiera (limitanei) e di “movimento” (comitatensi). Infine immise molti barbari nell’esercito (in primis il re alemanno Croco, che lo aveva appoggiato) e anche nei suoi comandi.

Costantino e Licinio, i due nuovi Augusti, si incontrarono a Milano nel 313. Qui decisero congiuntamente di terminare ogni persecuzione (Massimino Daia aveva ripreso a metterle in atto) con il celeberrimo editto di Milano:

« Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità. »

Lattanzio, De mortibus persecutorum, XLVIII

Le monete coniate da Costantino forniscono indirettamente notizie sull’atteggiamento pubblico di Costantino verso i culti religiosi. Quando ancora ricopriva il ruolo di Cesare, alcune emissioni si inserirono nel classico filone della Tetrarchia, con dediche «al Genio del Popolo Romano»

Ancora per alcuni anni dopo la battaglia di Ponte Milvio le zecche orientali  continuarono a produrre monete dedicate «a Giove salvatore»; nello stesso periodo le monete delle zecche occidentali continuarono a coniare monete dedicate «al Sole invitto compagno» e, in alcuni casi anche «a Marte salvatore» e «a Marte Protettore della Patria».

Moneta di Costantino con il Sol Invictus

Verso il 319 la maggior parte delle zecche sia in oriente sia in occidente passarono a emissioni laiche benaugurali, fra cui per prima quella con la legenda «Liete vittorie al principe perpetuo». E’ conosciuto un medaglione d’argento in cui il monogramma di Cristo era riprodotto sopra l’elmo piumato dell’imperatore, coniato a Pavia nel 315.

Solo dopo la vittoria su Licinio comparve la tipologia con il labaro imperiale e il monogramma di Cristo, che trafiggono un serpente, simbolo appunto di Licinio, e simultaneamente scomparirono del tutto dalle monete sia le immagini del sole invitto sia la corona radiata.

Nel 326 apparve infine il diadema, simbolo monarchico di derivazione ellenistica, e poco dopo il sovrano viene raffigurato con lo sguardo rivolto in alto, come nei ritratti ellenistici, a simboleggiare il contatto privilegiato tra l’imperatore e la divinità.

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In hoc signo vinces
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