Nell’ultimo secolo della repubblica il popolo romano si spaccò tra due fazioni: populares optimates. I primi parteggiavano per una visione più popolare e aperta alle novità e alla partecipazione del popolo romano, mentre i secondi cercavano di mantenere alto l’ordine senatorio e di ripristinare laddove possibili antichi privilegi dell’ordine, come voluto da Silla. Tuttavia la restaurazione durò ben poco, poiché con Catilina, poi Cesare Augusto vinse il partito popolare, mascherato dietro una facciata di antichi valori repubblicani. Gaio Mario era il principale esponente del partito filopopolare, Silla di quello filosenatorio. Mario era un homo novus che aveva portato a termine, dietro la protezione di Metello, grazie al quale era stato eletto console, la guerra giugurtina. Fu proprio grazie all’intervento di Silla, che convinse il re della Mauretania Bocco a passare dalla parte dei romani, che Mario riuscì a portare a termine la guerra numidica. Bocco infatti riuscì a convincere ad un incontro Giugurta, che venne catturato e consegnato a Mario. Negli anni seguenti Silla continuò ad essere uno degli ufficiali superiori di Mario durante le campagne contro cimbri e teutoni, specialmente nella battaglia dei Campi Raudii. Silla riuscì a farsi eleggere pretore urbano grazie ai suoi successi, nonostante venisse accusato di aver corrotto gli elettori. Al termine della pretura, nel 96 a.C., gli fu data la Cilicia:

«Dopo l’anno di pretura, [Silla] fu inviato in Cappadocia. Motivo ufficiale della sua missione era il porre di nuovo sul trono Ariobarzane I.In verità egli aveva il compito di contenere e controllare l’espansione di Mitridate, che stava acquisendo nuovi domini e potenza non inferiori a quanti ne aveva ereditati.»

PLUTARCO, VITA DI SILLA, 5

Silla approfittò della posizione di potere, essendo il più alto magistrato in zona, per trattare direttamente con i parti sui confini della regione. Ritornato a Roma, Silla comandò insieme a Mario alcuni degli eserciti impegnati nella guerra sociale; grazie anche alla cattura di Aeclanum, capitale degli irpini, Silla ottenne il consolato per l’88 a.C. Ottenuto poi il comando della guerra mitridatica, Silla dovette affrontare le resistenze di Mario, che con la forza si fece assegnare il comando della guerra grazie all’intervento del tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo. In quel momento Silla si trovava in Italia meridionale in attesa di imbarcarsi: decise di prendere le legioni più fedeli a lui e di marciare su Roma. Mario fu costretto a scappare; Silla fece eleggere come consoli Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna, per poi riprendere il comando dell’esercito e muovere guerra a Mitridate.

Nel frattempo a Roma si inaspriva la lotta tra Ottavio, che supportava gli optimates sillani e Cinna, che appoggiava i populares mariani, finendo in scontro aperto. Mario rientrò dall’Africa con un esercito e si oppose a Ottavio insieme a Cinna, entrando a Roma. Cinna venne eletto console per la seconda volta e Mario per la settima e ultima. Partì una feroce repressione e proscrizione verso i sillani, ma Mario morì dopo all’inizio del suo consolato, nell’86 a.C. Alla morte di Cinna, nell’84 a.C., Silla rientrò a Roma, ottenendo anche l’appoggio di Gneo Pompeo, figlio di Strabone, che aveva guidato gli eserciti romani durante la fase finale della guerra sociale.

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Da Porta Collina alla dittatura

Silla, di ritorno dalla guerra mitridatica, che aveva brillantemente vinto, sbarcò nella primavera dell’83 a.C. a Brindisi. Subito usò l’esercito per reprime la fazione popolare fedele a Mario, morto nell’86 a.C. Silla e i suoi comandanti, Quinto Cecilio Metello, Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo ottennero successi in Piceno, Apulia e Campania, ma i populares resistevano; nell’82 vennero eletti consoli il figlio omonimo di Gaio Mario e Gneo Papirio Carbone. Molti veterani di Mario si arruolarono e anche sanniti e lucani si unirono ai mariani. In particolare i sanniti odiavano Silla dopo la guerra sociale per la durezza delle sue campagne contro di loro.

Metello Pio e Pompeo attaccarono in Italia Settentrionale Gneo Papirio Carbone, mentre Silla marciava verso Roma. Il giovane Mario fu battuto e si rifugiò a Preneste, mentre la guerra a nord procedeva con alterne vicende. Nel frattempo giunsero da sud i rinforzi sanniti per Mario, comandati da Ponzio Telesino, mentre Marco Lamponio comandava i lucani. Anche Papirio Carbone inviò rinforzi ma vennero in parte annientati da Pompeo. Silla, venuto a conoscenza dei rinforzi in arrivo, decise di ritornare a sud per sbarrare la strada di Praeneste a Ponzio Telesino sulla via latina. Il romano riuscì a bloccare il nemico, mentre attendeva i rinforzi di Pompeo. Ponzio Telesino convinse allora gli alleati a rompere l’assedio di Praeneste e marciare direttamente contro Roma.

I sanniti partirono in piena notte, proseguendo sulla via latina e accampandosi a dieci stadi da Porta Collina. Roma era praticamente indifesa: alcuni cavalieri romani comandati da Appio Claudio uscirono dalle mura ma vennero sbaragliati. Fu allora che Silla, che si era accorto della manovra, prese a marciare a tappe forzate verso Roma. I primi ad arrivare furono settecento cavalieri al comando di Ottavio Balbo. A mezzogiorno giunse anche Silla. Alle calende di novembre dell’82 a.C., il primo novembre, Silla vinceva la sanguinosissima battaglia di Porta Collina contro Ponzio Telesino, capo dei sanniti, divenendo padrone di Roma e in seguito dittatore (senza fine di mandato, anche se poi rimise la carica nel 79 a.C.):

«Ma Ponzio Telesino, capo dei Sanniti, uomo violento sia in pace che in guerra e certo quello che più odiava il nome di Roma, raccolti circa 40.000 giovani violenti e pronti a tutto purché avessero un’arma in mano, sotto il consolato di Carbone e Mario, centonove anni or sono, nel giorno delle Calende di Novembre, attaccò Silla presso Porta Collina e così costrinse a una lotta all’ultimo sangue sia lui che la Res Publica. Un pericolo non maggiore fu quello che incuté Annibale, quando si spinse a meno di tre miglia da Roma per poter osservarne le difese. In quel giorno Telesino andava su e giù per gli ordini del suo esercito e non faceva che ripetere che era giunto l’ultimo giorno per Roma e, poiché in giro si diceva che la città ormai sarebbe stata sradicata e distrutta, lui ci aggiungeva che non sarebbero mai mancati usurpatori alla libertà dell’Italia, se prima non si fosse recisa la foresta che dava loro asilo. Così, si era ormai già alla prima ora della notte, quando la schiera romana ebbe un po’ di respiro, perché i nemici cedevano. Era il giorno dopo, quando Telesino fu trovato in fin di vita, ma poiché anche allora, egli preferiva atteggiare il suo volto a quello di un vincitore, piuttosto che a quello di un moribondo, Silla ordinò che gli tagliassero la testa e che, infilzatala sopra una lancia, le facessero fare un giro intorno a Preneste. […]. Silla onorò la felicità di quella giornata, in cui aveva respinto l’esercito dei Sanniti e di Telesino, con dei giochi circensi che si ricordarono per sempre, i quali si celebrano ancora sotto il nome di Giochi della Vittoria di Silla.»

Velleio Patercolo, Storia romana, II, XXVII

“La lotta fu violenta come non mai: l’ala destra riportava una brillante vittoria, ma Silla fu costretto a correre in aiuto di quella sinistra, che penava e versava in grandi difficoltà […]. Alla fine l’ala sinistra fu travolta e Silla si unì a quelli che fuggivano, riuscendo a ritirarsi nell’accampamento dopo aver perso molti amici e conoscenti. Non pochi anche di quelli che erano usciti dalla città per assistere ai combattimenti morirono calpestati, sicché si pensava che per la città fosse giunta la fine […] e si vociferava che lo stesso Silla fosse morto per mano dei nemici. […] Silla comandò che i superstiti, seimila uomini in tutto, fossero concentrati nel circo [Flaminio] e subito dopo convocò il senato nel tempio di Bellona. Nel momento stesso in cui prendeva la parola, quelli che ne avevano ricevuto l’incarico iniziarono a massacrare i seimila prigionieri. Le grida di tanti uomini, che venivano scannati in uno spazio limitato, arrivavano naturalmente alle orecchie dei senatori, che rimasero sgomenti, ma lui, con volto impassibile e calmo, proseguiva il suo discorso invitandoli a prestare attenzione e a disinteressarsi di quanto succedeva all’esterno: si trattava solo di alcuni criminali che venivano puniti su suo ordine. Anche il più sprovveduto dei Romani pensò che in quel momento la tirannide non era finita, ma aveva solo mutato volto.”

PLUTARCO, VITA DI SILLA, 29-30

Dittatore e riforma dello stato

Morti entrambi i consoli, Silla venne eletto dittatore a tempo indeterminato dai comizi centuriati grazie alla lex Valeria de Sulla dictatore. Silla possedeva poteri straordinari, compreso il diritto di condannare a morte, presentare leggi, scegliere i magistrati, effettuare confische, fondare città e colonie. Forte della sua posizione Silla decise di riformare la repubblica. Prima di tutto emanò delle liste di proscrizione, mettendo a morte gli oppositori politici; tra loro rischiò anche di finire Cesare (sua zia era moglie di Mario), che riuscì a fuggire in oriente. In sostanza Silla decise di intraprendere una politica di restaurazione del senato a scapito dei cavalieri e dei populares. In pratica tutta l’azione politica di Silla si basava sul ripristino degli antichi mores aristocratici e senatori in opposizione alla deriva “populista” e più filoequestre promulgata dai Gracchi.

Il senato venne portato a 600 membri, mentre veniva fissato il cursus honorum: la questura portava automaticamente alla cooptazione nell’assemblea. Seguiva l’edilità o il tribunato della plebe, la pretura e il consolato. Al senato venne anche restituito il controllo dei processi (quindi nel caso di malversazioni i senatori si giudicavano tra di loro), dato dai Gracchi ai cavalieri. Silla venne rieletto console nell’80 a.C., ma proprio quando era all’apice della carriera politica, nel 79 a.C., decise di abbandonare il potere e ritirarsi a vita privata, morendo nel 78 a.C. L’opera politica di Silla sarebbe stata in parte continuata da Pompeo, ma sarebbe stato uno degli esponenti della fazione opposta, Giulio Cesare, nipote di Gaio Mario, a stravolgere gli equilibri della res publica.

«Ma finalmente, per intercessione delle vergini Vestali, di Mamerco Emilio e di Aurelio Cotta, suoi parenti ed affini, ottenne il perdono. Pare certo che Silla, quando lo supplicarono i suoi più intimi amici, e uomini di altissimo rango, per qualche tempo oppose un rifiuto; ma poiché essi tenacemente insistevano, finalmente si lasciò piegare, ma dichiarò – o per ispirazione divina o per riflessione personale – che l’avessero pure vinta e se lo tenessero pure, purché sapessero che quello che essi tanto volevano salvo, un giorno o l’altro sarebbe stato la rovina proprio di quel partito degli ottimati che essi insieme con lui avevano difeso: in Cesare c’erano molti Marii.»

SVETONIO, VITA DI CESARE, 1

Dopo la morte di Silla e la fine delle proscrizioni, iniziò la carriera politica del giovane Cesare, poco più che ventenne. Il discendente di Venere era infatti nipote di Gaio Mario e genero di Cinna, entrambi avversari della fazione sillana, e per questo venne proscritto dal dittatore. Era già in fuga verso Brindisi quando l’intercessione della madre Aurelia e delle vestali lo salvò; Silla infine cedette alle lamentele, esclamando “vedo molti Marii in un solo Cesare” (nam Caesari multos Marios inesse).

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La dittatura di Cornelio Silla
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