Marco Antonio, inizialmente fuggito dopo l’assassinio di Cesare, nella serata delle idi di marzo andava da Calpurnia, dove attingeva ai fondi di Cesare. Il giorno seguente, il 16, si trovava sull’Isola Tiberina, insieme alle truppe comandate da Lepido. Quest’ultimo propose di trucidare i congiurati, ma Aulo Irzio chiese un accordo con i cesaricidi e Marco Antonio, incredibilmente, decise di accettare. Il 17 in senato si tenne un dibattito e Cicerone avanzò la proposta dell’amnistia, che Marco Antonio, contro ogni aspettativa, accolse a patto che venissero approvati anche tutti gli atti di Cesare.

Il giorno successivo, 18 marzo, venne aperto da Antonio il testamento di Cesare e scoprì che il suo erede era un suo pronipote, il neo figlio adottivo del defunto dittatore, Gaio Ottavio – divenuto pertanto Gaio Giulio Cesare Ottaviano -, che riceveva i 3/4 dell’eredità, mentre Marco Antonio era secondo anche ai cugini di Ottaviano Lucio Pinario e Quinto Pedio, venendo dopo in linea di successione perfino al cesaricida Decimo Giunio Bruto, che aveva convinto Cesare ad andare in senato quella mattina funesta.

Infine avvennero i funerali: Marco Antonio mantenne alto l’onore di Oratore del nonno, tirando fuori alla fine del suo discorso, fino a quel momento relativamente morbido nei confronti dei cesaricidi, con un abile colpo di scena, le vesti insanguinate di Cesare e leggendo il suo testamento, in cui il dittatore donava ai cittadini romani i suoi giardini e 300 sesterzi ad ognuno di loro. La folla esplose, cominciò a lanciare oggetti nella pira funebre e i cesaricidi furono costretti alla fuga per scampare il linciaggio.

Nel giugno del 44 a.C. Marco Antonio, che era rimasto unico console dopo la morte di Cesare, fece passare una permutatio provinciarum con cui scambiava il proconsolato della Macedonia dell’anno seguente con quello della Gallia Cisalpina, data in precedenza al cesaricida Decimo Bruto, oltre ad ottenere il controllo delle sei legioni macedoni. Ottaviano, che era stato dichiarato erede di Cesare tramite il suo testamento, decise allora di reclutare 3000 uomini tra i veterani di Cesare tentando di prendere Roma, senza successo, quindi si asserragliò ad Arezzo, dove riuscì a mettere in piedi due legioni. Nel frattempo, Antonio accusava Ottaviano di aver tentato di farlo uccidere e il giovane erede di Cesare veniva onorato – grazie all’appoggio di Cicerone (che credeva di manipolare Ottaviano) – con un imperio propraetorio, quindi secondo solo ai consoli dell’anno seguente, Aulo Irzio (autore dell’ottavo libro del De Bello Gallico) e Vibio Pansa.

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La morte della repubblica?

«Non vedo a chi Cesare debba cedere il passo. Ha un modo di esporre elegante, brillante ed anche, in un certo modo si pronuncia in modo elegante e splendido… Chi gli vorresti anteporre, anche tra gli oratori di professione? Chi è più acuto o ricco nei concetti? Chi più ornato o elegante nell’esposizione?»

Svetonio, Cesare, 55

Nonostante al funerale di Cesare, tenuto attorno al 20 marzo, Antonio con un discorso leggendario mise in fuga i cesaricidi, quasi linciati dalla folla, di fatto non riuscì ad avere il pieno controllo politico, sia perchè Ottaviano e perfino Decimo Bruto avevano di più dal testamento, sia perché una parte del senato, capeggiata da Cicerone, gli era ostile. Per tutto il 44 cercò di farsi assegnare la Gallia Cisalpina come proconsole, senza riuscirvi. Si trovava ad assediare Bruto a Modena, quando alla fine del 44, entrarono in carica i consoli per il 43, Irzio e Pansa. Nel frattempo una parte delle legioni richiamate dalla Macedonia disobbedirono ad Antonio e passarono dalla parte di Ottaviano, che si rinchiuse ad Arezzo.

Il 29 novembre del 44 a.C. Antonio passò all’offensiva, per cacciare Decimo Bruto da Modena, mentre a Roma alcuni cesariani erano passati dalla parte di Ottaviano e altri, come Irzio e Pansa, non lo avevano seguito. Mentre marciava verso nord Antonio evitò Ottaviano ad Arezzo, che aveva con sè molti veterani cesariani, comprese la Martia Quarta, che avevano defezionato da Antonio. Quest’ultimo sperava ancora nella collaborazione di Lepido, che si trovava in Spagna Citeriore e Narborense con quattro legioni, Gaio Asinio Pollione con due legioni in Spagna Ulteriore, Lucio Minuzio Planco in Gallia Comata con tre legioni. Tuttavia tutti e tre non erano alleati troppo fedeli e Antonio non vi poteva fare troppo affidamento. Dall’altra parte Decimo Bruto disponeva di tre legioni, di cui due formate da veterani, mentre Antonio aveva quattro legioni di cui una era V Alaudae vincitrice di Tapso, una formata da veterani di Cesare e due venute dalla Macedonia.

Il 20 dicembre 44 a.C. si riunì il senato e Cicerone inveì contro Antonio, definendolo un brigante e un nuovo Spartaco, proponendo di legittimare Decimo Bruto e Ottaviano. L’arpinate iniziò una serie di Filippiche, che alla fine saranno ben 14, contro Antonio nei quattro mesi seguenti. Si proponeva, utopisticamente di ripristinare la res publica. Il 1 gennaio 43 entrarono in carica Irzio e Pansa e dopo le pressioni di Cicerone si riconobbe Antonio come eversore, mentre a Ottaviano veniva dato un imperium propretorio, secondo solo ai consoli, in virtù dell’aiuto militare fornito. Inizialmente non si riuscì a far dichiarare Antonio come nemico pubblico, cercando di venire a patti con lui, mentre Irzio e Pansa mettevano insieme l’esercito. Il primo portò le sue legioni a nord, prendendo con sè anche quelle di Ottaviano, che lo seguiva.

Nel febbraio e marzo continuavano i dibattiti in senato, con Cicerone che respinse le richieste di Antonio di avere la Gallia Comata al posto della Cisalpina; l’oratore riuscì a convincere il senato a votare un ultimatum contro Antonio, che rifiutò e venne dunque dichiarato hostis publicus. Nel frattempo Pansa continuava a reclutare soldati, mettendo insieme altre quattro legioni di reclute, per poi portarsi a nord lunga la via Emilia e ricongiungersi a Irzio e Ottaviano. Antonio intanto bersagliava con la sua cavalleria, superiore in numero, il campo dei consoli.

Antonio, visto il numero superiore, decise di attaccare subito Irzio prima che i due eserciti si unissero e divenissero troppo numerosi ma, vista l’inattività di Irizio, decise di attaccare prima le quattro legioni di Pansa con due delle sue legioni di veterane (mentre il fratello Lucio Antonio continuava l’assedio di Modena), in località Forum Gallorum, il 14 aprile del 43 a.C. Antonio voleva sfruttare le paludi circostanti per colpire duramente le forze di Pansa, ma Antonio ignorava che quest’ultimo avesse ricevuto rinforzi da Irzio e Ottaviano, che avevano inviato la legio Martia e le coorti pretorie di Ottaviano. Queste forze, messe davanti, attraversando la palude, riuscirono a reggere l’urto delle forze di Antonio, che alla fine ebbe leggermente la meglio, senza avere però una vittoria decisiva grazie alla resistenza strenua della Martia.

Antonio si ritirò a Modena, mentre nello stesso giorno Cicerone pronunciava l’ultima delle sue Filippiche, la XIV, il 21 aprile 43 a.C., si combatteva la battaglia decisiva a Modena. Nata come una scaramuccia tra la cavalleria di Antonio e le legioni dei consoli che cercavano di trovare un varco nel controvallo antoniano. Antonio inviò due legioni che cominciarono a combattere contro tre dei consoli. Entrambi i fronti continuarono a inviare forze finché lo scontro non divenne generale. la IIII legione di Irzio riuscì a penetrare nel campo di Antonio, avvicinandosi alla sua tenda, ma venne contrattaccata dalla V Alaudae, che sbaragliò Irzio e uccisero perfino il console, il cui corpo venne recuperato solo dopo lunghi combattimenti da Ottaviano. Nonostante la battaglia fosse stata solo uno spargimento di sangue da entrambe le parti e Antonio avesse avuto i maggiori successi, decise di ritirarsi, puntando verso nord. Poco tempo dopo, in circostanze misteriose, forse avvelenato da Ottaviano, morì anche Pansa, forse per le ferite riportate secondo le fonti ufficiali. Decimo Bruto, che aveva tentato la marcia verso la Macedonia con dieci legioni, venne catturato da un capo gallo dopo che queste defezionarono per Antonio, Lepido e Ottaviano e ucciso su ordine di Antonio.

Ottaviano, rimasto il più alto in comando, si fece nominare con la forza console, marciando su Roma ed entrando in senato in armi. Una volta nell’assemblea, Cicerone si fece avanti e gli fece intendere che avrebbe comunque ottenuto il consolato (magari insieme a lui, venti anni dopo quello “trionfale” che sventò la congiura di Catilina). Ottaviano gli rispose emblematicamente dicendo che Cicerone era “l’ultimo dei suoi amici”, giocando sul doppio senso della parola ultimo (il medesimo in italiano e latino). Nei pressi di Bologna, nel novembre successivo, si giunse infine ad un accordo stipulato tra Antonio, Ottaviano e Lepido, il secondo triumvirato, che a differenza del primo non era un accordo privato tra Cesare, Pompeo e Crasso, ma un “triumvirato costituente”, ossia una magistratura ufficiale (ratificato dalla lex Titia per un quinquennio). Ne avrebbe fatto le spese in primis Cicerone, che sarebbe stato posto in cima alle liste di proscrizione triumvirali per volere di Marco Antonio, con l’avvallo di Ottaviano. Il 7 dicembre del 43 a.C. veniva assassinato Marco Tullio Cicerone, finito sulle liste di proscrizioni triumvirali per volere di Marco Antonio. Ottaviano inizialmente si era appoggiato sull’arpinate per la sua ascesa politica, ottenendo la propretura per affrontare Antonio a Modena (diventando secondo solo ai consoli Irzio e Pansa).

«Ed egli, come era solito, toccandosi le guance con la mano sinistra, impassibilmente rivolse lo sguardo ai sicari, ricoperto dal sudore e dalla capigliatura e disfatto nel volto dalle preoccupazioni, tanto che i più si coprirono il volto mentre Erennio lo uccideva. E fu ucciso mentre sporgeva il collo dalla lettiga, quando quello che trascorreva era il suo sessantaquattresimo anno. E, per ordine di Antonio, tagliarono la sua testa e le sue mani, con le quali aveva scritto le Filippiche. Cicerone stesso infatti intitolò Filippiche le orazioni contro Antonio e tuttora sono chiamate Filippiche.»

«Sporgendosi dalla lettiga ed offrendo il collo senza tremare, gli fu recisa la testa. E ciò non bastò alla sciocca crudeltà dei soldati: essi gli tagliarono anche le mani, rimproverandole di aver scritto qualcosa contro Antonio.»

Plutarco – Vite Parallele, Cicerone, 48, 2-5; T. Livio, Ab Urbe condita libri, CXX

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La morte di Cicerone
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