Marco Aurelio

L’impero romano d’occidente crolla nel corso del V secolo a causa della migrazione di intere popolazioni barbariche che, sebbene inizialmente accolte, infine costruiscono entità statali all’interno dell’impero. Ma cosa ha provocato questo enorme spostamento di popolazioni e quali sono realmente le colpe dell’impero romano d’occidente nella sua incapacità a sostenere l’integrazione dei barbari? La peste antonina scoppiata nel 165 provocò milioni di morti (Cassio Dione riporta oltre 2.000 morti al giorno solo a Roma), stimati in circa un terzo o un quarto della popolazione dell’impero. Tale impatto demografico, sebbene in parte contestato dagli studiosi in base a rinvenimenti papiracei ed epigrafici (che però bisogna tenere conto molto localizzati), potrebbe essere una delle principali cause delle difficoltà dell’impero romano a partire dall’età di Marco Aurelio.

Dalla fine del II secolo d.C., i romani cominciarono perciò ad accogliere gruppi barbari all’interno dell’impero, sia sconfiggendoli in guerra, sia facendo accordi con i capi; lo scopo era principalmente di ottenere manodopera per coltivare terre disabitate prima, e di reclutare nuovi soldati poi (specialmente dal IV secolo d.C.). In tale quadro si può anche comprendere la Constitutio Antoniniana del 212 d.C., che permetteva, come sottolineato da Cassio Dione, di aumentare le entrate tributarie (e di reclutare più soldati per le legioni). Ciò che appare tuttavia difficilmente spiegabile è – nonostante i bassi tassi di aumento della popolazione dovuti all’alta mortalità infantile – il persistere di fenomeni di depopolamento in alcune aree dell’impero.

La morte di Marco Aurelio

Con l’istituzione della tetrarchia si assiste a vere e proprie spedizioni punitive oltre confine per assoggettare popoli barbari deportati per coltivare la terra. Tuttavia, da Costantino, e specialmente dopo la sanguinosissima battaglia di Mursa Maggiore tra Costanzo II e Magnezio, che vede la morte di decine di migliaia di soldati, la situazione – complice il ritiro di molte truppe dalla frontiera per via del nuovo sistema limitaneo-comitatense – appare disperata alla metà del IV secolo sul fronte renano. L’impegno di Giuliano, con forze esigue, permetterà di mantenere sotto controllo la situazione per qualche anno, ma i romani non potranno nulla nel 406.

Alessandro Barbero insiste sul fatto che la frontiera renana nel IV secolo fosse fortemente depopolata e che i barbari abbiano potuto spesso attraversare il limes senza difficoltà, insediandosi anche a ridosso delle città romane; in tal senso appare evidente come la grande migrazione del 406, complice le forze distolte da Stilicone, abbia consentito ai barbari di entrare in Gallia senza troppa difficoltà

Peste o vaiolo?

Non disponiamo di dati certi, ma le descrizioni fornite da Galeno, testimone oculare della malattia, e approfondimenti moderni hanno fatto ritenere in modo condiviso che si sia trattato di un’epidemia di vaiolo. Gli antichi avevano l’abitudine di chiamare ricorrentemente queste pestilenze “peste”, come nel caso di quella scoppiata ad Atene durante la Guerra del Peloponneso (probabilmente tifo) o quella di Giustiniano alcuni secoli dopo.

L’epidemia, contratta dai legionari romani a Seleucia durante la campagna partica di Lucio Vero e Avidio Cassio, si propagò con inaudita ferocia grazie alle legioni di ritorno nelle loro sedi e alle molte vexillationes (piccoli reparti distaccati dalle legioni). E’ terribilmente difficile fornire dati precisi, ma è possibile affermare che la peste antonina restò endemica nei decenni seguenti, colpendo ancora vent’anni dopo il 15% dei membri di un collegio nell’Austria Romana (AE 1994, 1334; anno 184 d.C.). Ancora nel III secolo ci saranno nuovi casi e lo stesso imperatore Claudio II il Gotico morì per quella che veniva definita ancora una volta peste.

Non solo Claudio II, ma si suppone che anche l’imperatore Marco Aurelio, impegnato a combattere per anni contro i barbari marcomanni e quadi lungo il Danubio con forze esigue a causa delle perdite nei ranghi (tanto che dovette arruolare anche schiavi liberati e gladiatori), abbia contratto la malattia e si sia lasciato morire il 17 marzo 180.

I romani reagirono però a questa pestilenza, per quanto possibile nel mondo antico. Il senatore Arrius Antoninus venne nominato da Marco Aurelio praetor tutelaris, ossia un senatore di rango pretorio incaricato di gestire la situazione sanitaria. Tuttavia è probabile che la carica, nata inizialmente per affiancare i provvedimenti di aiuto alla popolazione nati nel II secolo (ad esempio gli alimenta), sia nata prima e poi sia stata adattata alla situazione, altrimenti non si spiegherebbe la carriera di Arrius che nel 170 divenne console. Nel 190 ci furono ben 25 consoli: causa della malattia o della follia di Commodo?

«E come Cleandro era successo a Perenne nella sua posizione di influenza, così nella prefettura del pretorio lo sostituì Nigro, che si narra sia rimasto in carica solo per sei ore; infatti i prefetti del pretorio venivano cambiati di giorno in giorno e di ora in ora, mentre Commodo si comportava in tutto peggio di quanto non avesse fatto in precedenza; così Marcio Quarto fu prefetto del pretorio per cinque giorni. I successori dei suddetti furono mantenuti in carica o uccisi ad arbitrio di Cleandro; a sua discrezione persino dei liberti venivano ammessi al rango senatorio o patrizio, e allora per la prima volta si ebbero venticinque consoli in un solo anno e il governo di tutte province fu offerto in vendita.»

Historia Augusta, Commodo, 6, 6-9
Commodo

Il parere degli studiosi

Riguardo gli effetti di lungo periodo della peste antonina Niebuhr scrisse a metà del XIX secolo che la peste antonina colpì con incredibile furia, mietendo vittime innumerevoli e che il mondo antico non si riprese mai più. All’inizio del Novecento Otto Seeck insistette sulle moltissime vittime (secondo lui oltre la metà della popolazione dell’impero) e che lo stanziamento dei barbari cambiò indelebilmente l’Europa. Parker continua sulla stessa linea, rimanendo leggermente più prudente. Boak, nel suo Manpower Shortage and the Fall of the Roman Empire in the West del 1955, dove studia proprio la carenza di manodopera nell’impero, aggiunge poi che fu fondamentale integrare questi barbari per coltivare le terre e reclutare nuovi soldati. Gibbon e Rostovtzeff invece hanno dato un peso inferiore all’epidemia, non considerandola così traumatica.

D’altra parte, Gilliam ha sostenuto nel 1961 l’inattendibilità di queste asserzioni, mettendo in evidenza la scarsezza di fonti a riguardo, e mettendo in guardia dalle esagerazioni delle fonti, in specie Orosio, Eutropio e Gerolamo. Allo stesso modo secondo lui non ci sono prove degli effetti devastanti sull’esercito e lo spopolamento dell’Egitto; la rivolta dei Boukòloi sedata da Avidio Cassio nel 172-3 avrebbe motivazioni fiscali e la fuga dalle campagne egizie del periodo (in alcuni casi secondo i papiri anche il 90% della popolazione) non sarebbe confermata. Infine, Gilliam aggiunge che lo stanziamento di barbari nell’impero è attestato anche prima, sotto Augusto e Nerone. Le ipotesi dello studioso sono però di ormai sessant’anni fa e avrebbero bisogno di rinnovato interesse, basandosi su nuovi apporti archeologici e documentari.

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La peste antonina
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