«I romani si mettono marcia tutti in silenzio e ordinatamente, restando ciascuno al proprio posto come fossero in battaglia. I fanti indossano corazze (lorica) ed elmi (cassis o galea), una spada appesa su ciascun fianco, dove quella di sinistra è più lunga (gladius) di quella di destra (pugio), quest’ultima non più lunga di un palmo. I soldati “scelti”, che fanno da scorta al comandante, portano una lancia (hasta) e uno scudo rotondo (parma); il resto dei legionari un giavellotto (pilum) e uno scudo oblungo (scutum), oltre ad una serie di attrezzi come, una sega, un cesto, una piccozza (dolabra), una scure, una cinghia, un trincetto, una catena e cibo per tre giorni; tanto che i fanti sono carichi come bestie da soma.


I cavalieri portano una grande [e più lunga] spada sul fianco destro (spatha), impugnano una lunga lancia (lancea), uno scudo viene quindi posto obliquamente sul fianco del cavallo, in una faretra sono messi anche tre o più dardi dalla punta larga e grande non meno di quella delle lance; l’elmo e la corazza sono simili a quelli della fanteria. L’armamento dei cavalieri scelti, quelli che fanno da scorta al comandante, non differiscono in nulla a quello delle ali di cavalleria. A sorte, infine, si stabilisce quale delle legioni debba iniziare la colonna di marcia.»

GIUSEPPE FLAVIO, GUERRA GIUDAICA, III, 5.5.93-97

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La legione

L’organizzazione dell’esercito romuleo prevedeva una legione divisa in centurie censitarie. Tale regola venne mantenuta dall’esercito repubblicano, reclutato per classi e diviso in manipoli di hastati, principes, triarii, velites ed equites. Un manipolo riuniva due centurie di circa 80 uomini (60 per i triarii) e formava l’unità tattica base. Tuttavia l’emergere di nuove minacce durante la seconda guerra punica, condusse Scipione ad adottare una nuova formazione, mutuata in parte dagli alleati italici che già la usava: la coorte.

Il reparto più piccolo all’interno della legione era il contubernium di 8 uomini, che formava un’unica tenda, comandati da un decano. Tutta l’organizzazione militare romana, almeno fino alla tarda antichità, si basa infatti su multipli di 2 e 3 piuttosto che di 5 o 10. Dieci contubernia andavano a formare la centuria di 80 uomini, la più piccola unità tattica in seno alla legione.

Il manipolo

Gli hastati, come indica il nome, dovevano essere dotati in principio delle hastae, le lunghe lance in dotazione ai triarii, ma che già nel III secolo a.C. dovettero abbandonarle a favore del pilum. Completava l’equipaggiamento lo scutum ovale, l’elmo (specialmente Montefortino) e la spada, sostituita dalla seconda guerra punica dal gladio ispaniense, oltre a una placca di metallo che fungeva da corazza, e uno schiniere per la gamba sinistra, posizionata più avanti in combattimento.

principes, più ricchi e anziani, formavano la seconda linea, e potevano generalmente contare su alcuni equipaggiamenti migliori, come cotte di maglia (loricae hamatae), che fornivano migliore protezione. L’equipaggiamento offensivo era analogo a quello degli hastati.

L’ultima linea era formata dai triarii (tanto che per i romani dire “arrivare ai triarii” significava giungere a una situazione disperata), raramente usati in battaglia e solo se le cose volgevano al peggio. Erano equipaggiati come i principes, ma erano dotati di una lunga lancia al posto del pilum, e pare attendessero lo scontro in ginocchio. Infine i più abbienti, raccolti nelle diciotto centurie più abbienti degli equites durante i comizi centuriati, combattevano a cavallo, e se non potevano permetterselo gli veniva dato un cavallo pubblico, equus publicus.

L’esercito veniva schierato su tre linee disposte a scacchiera, con i velites davanti gli hastati, e dietro di questi i principi; in ultima e terza fila i triarii, con centurie grandi generalmente la metà, mentre ai fianchi si disponevano i cavalieri e le coorti e ali ausiliarie dei socii. Le legioni non avevano un singolo comandante come in epoca imperiale, bensì erano comandate da sei tribuni militari.

L’idea tattica alla base della legione manipolare era che quando una linea si stancava subentrava la successiva, con hastati e principes ad alternarsi, mentre i triarii subentravano solo in caso di assoluta necessità:

«Quando l’esercito aveva assunto questo schieramento, gli hastati iniziavano primi fra tutti il combattimento. Se gli hastati non erano in grado di battere il nemico, retrocedevano a passo lento e i principes li accoglievano negli intervalli tra loro. […] i triarii si mettevano sotto i vessilli, con la gamba sinistra distesa e gli scudi appoggiati sulla spalla e le aste conficcate in terra, con la punta rivolta verso l’alto, quasi fossero una palizzata… Qualora anche i principes avessero combattuto con scarso successo, si ritiravano dalla prima linea fino ai triarii. Da qui l’espressione in latino “Res ad Triarios rediit” (“essere ridotti ai Triarii”), quando si è in difficoltà.»

(T. Livio, Ab Urbe Condita Libri VIII, 8, 9-12)

La coorte

Combattendo in Spagna, in condizioni difficili e spesso tatticamente sconosciute ai romani, Scipione si rese conto di dover modificare qualcosa. Fece adottare ai suoi soldati una spada iberica che sembrava micidiale, il gladio (i cui primi modelli sono appunto chiamati “hispaniensis“), che se usato correttamente, di punta, provocava ferite micidiali. In secondo luogo per affrontare episodi di guerriglia e di bassa intensità decise di appropriarsi dell’unità tattica della coorte, usata fino ad allora dai soli socii italici. La coorte, che contava circa 500 uomini, raggruppava in sé i tre manipoli di hastati, principes e triarii, permettendo dunque una maggiore flessibilità tattica: infatti non era usata solamente in azioni secondarie, ma anche sul campo di battaglia principale. Tuttavia perchè questo divenisse la norma bisognerà attendere la fine del II secolo a.C. e l’inizio del I secolo a.C. Ma i semi erano ormai piantati e i romani cominciavano a comprendere l’importanza della flessibilità tattica e di azioni fuori dagli schemi. Da allora infatti si comincerà ad uscire dagli schemi della classica azione di hastati-principes-triarii, per passare ad azioni più complesse, come per esempio usare i triarii per fermare la cavalleria o staccare principes e/o triarii per compiere un aggiramento su un fianco o rispondere ad un tentativo di aggiramento.

Per giungere alla piena adozione della coorte si dovette attendere la riforma dell’esercito di Gaio Mario, i cui presupposti erano già stati lanciati dai Gracchi. Il nuovo esercito, formato da capite censi, ovvero nullatenenti, non disponeva di equipaggiamento (ormai già fornito dallo stato da qualche decennio e quindi già in parte uniformato) ed era inquadrato direttamente in coorti, essendo venuti meno i presupposti della leva in base al censo (mentre permaneva questa divisione dei comizi, dove le prime 98 centurie più ricche avevano il potere di decidere nei comizi centuriati, avendo la maggioranza assoluta essendo 193 in totale; non solo, le 18 centurie di cavalieri e 80 della prima classe votavano per prime).

La coorte dunque riuniva i tre manipoli di hastatiprincipes triarii, mentre i velites scomparivano. L’equipaggiamento era ormai lo stesso, e non esistevano più le lance dei triarii: tutti usavano lorica hamatascutum ovale oblungo, pilum, gladio, elmo, cingulum pugio. Occasionalmente si usavano piume o crini di cavallo per l’elmo e schinieri per le gambe. Permaneva tuttavia la divisione in manipoli, almeno inizialmente, da un punto di vista nominale (questo ancora all’epoca di Diocleziano per indicare i nomi dei centurioni, come hastatus prior/posteriorprinceps prior/posterior e pilus prior/posterior, con il più alto in grado che era il comandante dei triari, detto primipilo nella prima coorte):

«Cesare, riunite le insegne della XII legione, i soldati accalcati erano d’impaccio a se stessi nel combattere, tutti i centurioni della quarta coorte erano stati uccisi ed il signifer era morto anch’egli, dopo aver perduto l’insegna, quasi tutti gli altri centurioni delle altre coorti erano o feriti o morti […] mentre i nemici, pur risalendo da posizione da una posizione inferiore, non si fermavano e da entrambi i lati incalzavano i Romani […] Cesare vide che la situazione era critica […] tolto lo scudo ad un soldato delle ultime file […] avanzò in prima fila e chiamati per nome i centurioni, esortati gli altri soldati, ordinò di avanzare con le insegne allargando i manipoli, affinché potessero usare le spade. Con l’arrivo di Cesare ritornata la speranza nei soldati e ripresi d’animo […] desiderarono, davanti al proprio generale, di fare il proprio dovere con professionalità, e l’attacco nemico fu in parte respinto. Cesare avendo poi visto che anche la legione VII era incalzata dal nemico, suggerì ai tribuni militari che a poco a poco le legioni si unissero e marciassero contro il nemico voltate le insegne. Fatto questo, dopo che i soldati si soccorrevano vicendevolmente senza più aver paura di essere presi alle spalle dal nemico, cominciarono a resistere con maggior coraggio e a combattere più valorosamente. Frattanto le due legioni che erano state nelle retroguardie e di scorta alle salmerie [le legioni XIII e XIV] giunta notizia della battaglia, presero a correre a gran velocità […] Tito Labieno dopo aver occupato il campo nemico, e visto quanto accadeva nel nostro campo da un’altura, mandò in soccorso ai nostri la legione X.»

CESARE, DE BELLO GALLICO, II, 25-26

Le coorti erano disposte anch’esse in una formazione su tre linee, chiamata triplex acies. Tuttavia Cesare e poi anche suoi successori decisero spesso di adottare una formazione più snella, il duplex acies, su due linee. In entrambi i casi la prima coorte stava davanti all’estrema destra; nel primo lo schieramento era 4-3-3, nel secondo 5-5 coorti. La coorte assunse un ruolo così importante da essere il metro per indicare i reparti in Cesare, che spesso numera più le coorti in suo possesso o in uso che non le legioni:

« Riconosciuto Cesare per il colore del suo mantello, che portava come un’insegna durante i combattimenti […] i Romani, lasciati i pilum, combattono con la spada. Velocemente appare alle spalle dei Galli la cavalleria romana, mentre altre coorti si avvicinano. I Galli volgono in fuga. La cavalleria romana rincorre i fuggiaschi e ne fa grande strage. Viene ucciso Sedullo, comandante dei Lemovici; l’arverno Vercassivellauno viene catturato durante la fuga; vengono portate a Cesare settantaquattro insegne militari. Di così grande moltitudine pochi riuscirono a raggiungere il campo e salvarsi […] Dalla città, avendo visto la strage e la fuga dei compagni e disperando della salvezza, ritirano l’esercito in Alesia. Giunta questa notizia, i Galli del campo esterno si danno alla fuga […] Se i legionari non fossero stati sfiniti […] tutte le truppe nemiche avrebbero potuto essere distrutte. Verso mezzanotte la cavalleria, mandata all’inseguimento, raggiunse la retroguardia nemica. Un grande numero di Galli fu preso ed ucciso, gli altri si disperdono in fuga verso i loro villaggi. »

CESARE, DE BELLO GALLICO, VII, 88

Dunque la legione aveva 10 coorti di 480 uomini circa più 120 cavalieri, per un totale di 5.000 uomini (a partire dall’età flavia la prima coorte diventerà di 800 uomini invece che di 480, poiché aveva 5 centurie doppie, invece di 6 standard). Ogni coorte era divisa in 6 centurie, composte a loro volta da 10 contubernia di 8 uomini, che formavano l’unità base dell’esercito e che erano nella stessa tenda. Inoltre ogni legione aveva un simbolo che la rappresentava, di origine animale, come un cinghiale o un lupo, mentre tutte avevano come insegna fin da Gaio Mario l’aquila, portata da un aquilifer. Questo era un simbolo sacro e perderlo in battaglia significava una disgrazia: non è un caso che Augusto si premurò di recuperare le insegne di Crasso prese dai parti a Carre e che Germanico trovò due delle tre aquile perse a Teutoburgo.

La struttura della legione

«I romani, un popolo che valuta le situazioni prima di passare all’azione, e che dopo prese le decisioni dispone di un esercito tanto efficiente: che meraviglia se i confini del suo impero sono segnati verso oriente dall’Eufrate, dall’oceano ad occidente, a nord dal Danubio e dal Reno? Senza esagerare si potrebbe dire che le conquiste sono da meno dei conquistatori. »

GIUSEPPE FLAVIO, GUERRA GIUDAICA, III, 107

Al comando di una legione c’era un legatus legionis di estrazione senatoria e che doveva aver già ricoperto alcune cariche politiche; di solito dopo questo comando si otteneva una provincia propretoria e un consolato. Al di sotto del legato (che dipendeva dal governatore della provincia, il legatus Augusti pro praetore) c’erano 6 tribuni, di cui uno era un tribuno laticlavius di famiglia senatoria che svolgeva la sua prima esperienza militare e 5, angusticlavi (ossia dal clavio, il bordo color porpora della tunica, più sottile, per riconoscerli). Alcuni studiosi hanno supposto che i 5 tribuni potessero comandare ognuno 2 coorti e che il tribuno laticlavio fungesse da vice del legato. Solo l’Egitto, che era amministrato come proprietà privata del principe, aveva come comandante di legione un cavaliere praefectus legionis agens vice legati. Successivamente Settimio Severo recluterà tre legioni partiche affidandole tutti a prefetti analoghi a questo. C’era infine, a controllare l’accampamento e la legione, un prefetto apposito, il praefectus castrorum, che si collocava un gradino sotto il tribuno laticlavio e uno sopra il primipilo. C’erano poi diversi sottufficiali, dalla paga superiore a quella legionaria di una volta e mezza come i sesquiplicarii  e principales (ovvero i principali ufficiali della legione, circa 480):

  • beneficiarius
  • tesserarius
  • cornicen
  • bucinator
  • tubicen

Oppure duplicarii (dalla paga doppia):

  • aquilifer
  • imaginifer
  • cornicularius
  • optio (vice del centurione)
  • signifer
  • medicus
  • campidoctor

A questi si sommavano i legionari che svolgevano lavori come fabbri e artigiani e i centurioni, divisi in base alla centuria che comandavano.

Le legioni, accorpate in grandi accampamenti e con funzione più di deterrenza che altro, furono progressivamente spostate al confine (il limes) e frazionate in campi singoli. A partire dall’epoca di Marco Aurelio si comincerà a fare uso di vexillationes (distaccamenti) inviati all’occorrenza per rafforzare un fronte. Nel corso dei secoli queste vexillationes resteranno talvolta permanentemente nei nuovi luoghi e formeranno nuove unità in epoca tardoantica. Alle legioni si affiancavano poi gli auxilia, precedentemente raccolti alla bisogna tra i regni clienti e ora regolarizzati in una forza professionale (es. Cohors I BrittonumAla I Brittonum etc.), che invece erano raccolti in più piccoli castra che contenevano una sola coorte o ala ausiliaria, spesso collocati in prossimità del confine fortificato come per esempio in Germania, o talvolta anche oltre: per difendere la nuova provincia degli Agri Decumates, annessi da Domiziano, collocati tra il Reno e il Danubio, verranno creati una fittissima rete di piccoli forti ausiliari. Gli auxilia prenderanno comunque nomi latini e verranno comandati da ufficiali romani di estrazione equestre, la cui carriera venne normalizzata dall’imperatore Claudio.

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