Traiano era nato a Italica, il 18 settembre del 53 d.C. Dopo aver seguito il padre governatore di Siria, divenne console nel 91. Governatore della Germania Superiore quando Nerva lo adottò, gli successe già il 28 gennaio del 98. Il passaggio di potere non fu traumatico e avvenne senza problemi. Decise però subito di espandere il corpo dei frumentarii, che da addetti al rifornimento del grano, divennero delle spie; introdusse anche una nuova guardia armata a cavallo, gli equites singulares, che sostituivano i germani corporis custodes usati dai Giulio-Claudi; tuttavia la provenienza etnica di queste truppe, per quanto regolamentate, era pur sempre germanica e pannonica in larga parte, reclutati fra le migliori truppe ausiliarie.

Il principe aumentò le distribuzioni di frumento al popolo; inoltre perfezionò il sistema degli alimenta, creato da Nerva: si trattava di prestiti perpetui al 5% concessi dal fisco imperiale ai proprietari italici; i proventi, riscossi dalle amministrazioni cittadine, erano usati per i bambini poveri. In tal modo si cercava sia di favorire la piccola proprietà italica sia di aumentare la quantità di italici “recrutabili”. Traiano inoltre obbligò i senatori a possedere un terzo delle loro proprietà sul suolo italico, che mantiene ancora un primato politico invidiabile (lo ius italicum era l’apice per un cittadino romano).

L’imperatore ispanico fu anche un costruttore: edificò le sue terme, create da Apollodoro di Damasco (nel 109), sopra la domus aurea, interrata, e diede finalmente a Roma un nuovo enorme porto esagonale, a Porto, a nord di Ostia, superando la soluzione di Claudio, il cui porto si era rapidamente insabbiato. Inoltre Traiano fece costruire un nuovo acquedotto, l’Aqua Traiana e, grazie anche al bottino della guerra dacica, realizzò un nuovo foro, con la Basilica Ulpia, i Mercati Traianei e la famosa Colonna, oltre a due biblioteche, una greca e una latina.

Il conquistatore

«Sarei certamente arrivato fino in India, se fossi ancora giovane»

Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 29

Traiano è ricordato principalmente come conquistatore: nel corso di due guerre, nel 101-102 e 105-106 sottomise i daci di Decebalo, vendicando le sconfitte subite ai tempi di Domiziano. Le gesta di Traiano sono raccontate sulla famosa Colonna, sulla cui cima era presente una statua dell’imperatore. Dopo duri combattimenti i romani sottomisero totalmente la Dacia, trasformandola in provincia. Era ricchissima d’oro, che affluirà nelle casse romane e garantirà cinquant’anni di prosperità economica.

«Dopo aver trascorso del tempo a Roma, [Traiano] mosse contro i Daci, avendo riflettuto sui loro recenti comportamenti, poiché era contrariato a causa del tributo a loro versato annualmente ed aveva notato che era aumentata non solo la loro forza militare, ma anche la loro insolenza.»

«Decebalo, venuto a sapere dell’arrivo di Traiano, ebbe paura, poiché egli sapeva che in precedenza aveva sconfitto non i Romani ma Domiziano, mentre ora si sarebbe trovato a combattere sia contro i Romani, sia contro Traiano.»

CASSIO DIONE, LVIII, 6,1; 6,2

Dopo gli scontri avvenuti sotto Domiziano, risolti in un nulla di fatto, i romani tornarono ad aver problemi col re Decebalo all’inizio del principato di Traiano. Quest’ultimo decise di non pagare più il tributo versato loro dopo la fine della guerra precedente e decise di muovere guerra subito, prima che divenissero troppo baldanzosi.

L’esercito di Traiano

Durante le guerre daciche l’esercito di Traiano sviluppò nuove soluzioni sia per la fanteria, con l’introduzione di maniche segmentate e rinforzi sugli elmi, sia nella cavalleria, con l’uso di cavalleria leggera dei mauri, comandata da Lusio Quieto e gli equites singulares. Non solo, vennero introdotti nuovi reparti ausiliari e frombolieri. Infine, dal punto di vista dell’artiglieria non mancarono novità: si fece largo uso di piccoli scorpioni metallici, alcuni talmente piccoli da poter essere usati a mano come delle balestre. Altri, più grandi, vennero montati su carri e usati come artiglieria mobile: le carroballistae, ben visibili sulla colonna Traiana.

I legionari adottarono nuove protezioni, dimostrando di adattarsi ancora una volta al nemico: alla lorica segmentata si affiancava anche una manica segmentata per proteggere le braccia dalle terribili falci daciche. Inoltre gli elmi presentavano una protezione a croce sulla calotta, per evitare che le falci stesse potessero spaccarli con un colpo ben assestato. Infine gli elmi, di tipo perlopiù italico imperiale, divennero sempre più lunghi nella zona del collo, ancora una volta per proteggersi dalle lunghe lame ricurve e dai colpi provenienti in generale dall’alto.

Traiano mise insieme diverse decine di legioni e numerose vexillationes, per un totale di circa 150.000 uomini, una delle campagne più imponenti dai tempi di Cesare e Ottaviano:

  • le legioni I Adiutrix, I Italica, I Minervia, II Adiutrix, II Traiana Fortis, IIII Flavia, V Macedonica, VII Claudia, X Gemina, XI Claudia Pia Fidelis, XIII Gemina, Legio XIIII Gemina Martia Victrix, XV Apollinaris, XXI Rapax (?) e XXX Ulpia Victrix;
  • le vexillationes legionarie delle legioni II Augusta, III Augusta, III Gallica, IV Scythica, VI Ferrata, VII Gemina, IX Hispana, Legio XII Fulminata, XX Valeria Victrix e XXII Primigenia.

A queste si sommavano numerose coorti e ale ausiliarie, che supportavano le legioni; dovevano essere all’incirca 75.000 legionari e altrettanti ausiliari. Decebalo invece avrebbe messo insieme, stando a Strabone, circa 200.000 soldati, facendo affidamento anche sui roxolani e i bastarni a lui alleati, mentre non ottenne l’appoggio dei parti, dei quadi e dei marcomanni, mentre gli iagizi rimasero belligeranti ma probabilmente non alleati con i daci.

La metope di Adamklissi

Nella metope di Adamklissi, un monumento eretto dai legionari in Dacia per celebrarne la conquista, si possono notare alcuni particolari interessanti sul loro equipaggiamento. Nessuno di loro indossa una lorica segmentata, preferendo hamatae e squamate, mentre alcuni sembrano indossare gli elmi cilindrici di origine sarmata che si diffonderanno solo più tardi nell’esercito romano, circa due secoli dopo. Tutti invece usano lo scutum rettangolare, il gladio e il pilum, talvolta come lancia, come il legionario in foto che cerca di stanare un arciere dacio. Sul mancato uso della segmentata non si può dire molto, forse i soldati rappresentandosi da soli e non come monumento celebrativo ufficiale hanno preferito farsi ritrarre con un’amatura più comoda e che usavano più spesso. Sono presenti, invece, le caratteristiche manicae segmentate adottate per proteggersi dalle falci daciche.

Nel 101 Traiano in persona prese il comando dell’esercito insieme al suo prefetto al pretorio Tiberio Claudio Liviano e alcuni senatori di rilievo, come Licinio Sura, Lusio Quieto e Publio Elio Adriano, il futuro imperatore. Inoltre c’erano i governatori delle province limitrofe alla Dacia: Gaio Cilnio Proculo per la Mesia Superiore, Manio Laberio Massimo in Mesia Inferiore e Lucio Giulio Urso Serviano in Pannonia Inferiore. L’imperatore attraversò il Danubio attraverso le cosiddette Porte di Ferro, seguendo la strada usata da Tettio Giuliano nell’88, senza incontrare resistenza; Decebalo aveva deciso di ritirarsi all’interno. Raggiunta Tibiscum, la strada si restringeva e i daci avevano costruito imponenti fortezze. Qui avvenne il primo scontro, vicino Tapae:

«Mentre Traiano era giunto, nel corso della campagna militare contro i Daci, nei pressi di Tapae, dove si erano accampati i barbari, gli venne portato un grosso fungo sul quale era stato inciso in latino, che i Buri e gli altri alleati invitavano Traiano a tornare indietro e rimanere in pace.»

CASSIO DIONE, LVIII, 8,1

Nonostante le minacce si arrivò alla battaglia, che secondo la colonna traiana fu favorevole ai romani, sebbene ci fu un grande spargimento di sangue. L’anno seguente sarebbe avvenuta, la seconda grande battaglia, quella di Adamklissi, nel 102. Decebalo era passato al contrattacco, attraversando il Danubio, ma era stato fermato dal governatore della Mesia Superiore, Manio Laberio Massimo, che riuscì perfino a catturare la sorella del re dacico. Traiano raggiunse Laberio Massimo, facendo affidamento sulla classis moesica, la flotta della Mesia, attaccando già di notte, vicino Nicopolis ad Istrum; lo scontro finale fu ad Adamklissi, con i romani che ebbero nuovamente la meglio. L’esercito dei daci fu distrutto e Decebalo dovette chiedere la resa.

«[Decebalo] dopo essersi presentato al cospetto di Traiano, si prostrò a terra supplice e gettò a terra le armi.»

CASSIO DIONE, LXVIII, 9, 6

Gli ultimi anni

Qualche anno dopo Traiano, dopo aver annesso anche l’Arabia e l’Armenia, nel 114, ricevendo il titolo dal senato di optimus princeps, attaccò i parti, conquistando Ctesifonte nel 115:

«[Traiano] Marciava a piedi insieme alle truppe del suo esercito, e si curava dello schieramento e la disposizione delle truppe durante tutta la campagna, conducendoli a volte in un solo ordine e a volte in un altro; ed attraversò tutti i fiumi che loro attraversavano. A volte anche fece anche sì che i suoi esploratori mettessero in circolazione notizie false, in modo che i soldati potessero fare pratica allo stesso tempo di manovre militari e diventare coraggiosi e pronti ad ogni eventuale pericolo. Dopo che aveva catturato Nisibis e Batnae gli fu conferito il nome di Parthicus; ma era molto più orgoglioso del titolo di Optimus rispetto a tutto il resto, in quanto esso si riferiva più al suo carattere rispetto alle sue armi.»

Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 23, 1-2

La vittoria era totale e i romani erano arrivati fino al Golfo; i parti, ormai disperati, fomentarono una sollevazione ebraica nell’oriente romano: gli ebrei in Cirenaica, Egitto, Palestina, si ribellarono ai romani.

«Mentre l’imperatore Traiano si trovava a soggiornare in Antiochia, un terribile terremoto colpì la città. Molte città subirono dei danni, ma Antiochia fu quella più sfortunata di tutti. Qui Traiano stava trascorrendo l’inverno (del 115) e molti soldati e civili erano accorsi qui da tutte le parti, in relazione con la campagna militare, vi erano poi ambascerie, affari e visite turistiche; non vi fu pertanto alcun popolo che rimase illeso, e quindi ad Antiochia il mondo intero sotto dominio romano, subì il disastro. C’erano stati molti temporali e vento portentoso, ma nessuno si sarebbe mai aspettato tanti mali tutti insieme. Per prima cosa si sentì improvvisamente un grande boato, seguito da un tremito della terra tremendo. Tutta la terra si alzava, molti edifici crollarono, altri si alzavano da terra per poi crollare e rompersi in pazzi al suolo, mentre altri erano sballottati qua e là, come se si trattasse di un’onda del mare, e poi rovesciati, e la distruzione colpì fino all’aperta campagna. Il crollo dei palazzi e la rottura di travi di legno insieme con piastrelle e pietre fu terribile, e una quantità inimmaginabile di polvere si levò, tanto che era impossibile per uno vedere qualcosa o parlare o sentire una parola. Per quanto riguarda le persone, molte che erano fuori casa, furono gettate violentemente verso l’alto e poi a terra, come se fossero caduti da un’alta rupe; altri furono uccisi e mutilati. Anche gli alberi in alcuni casi, sobbalzarono, con le radici e tutto il resto. Il numero di coloro che rimasero intrappolati nelle case e morirono aumentarono, molti furono uccisi dalla forza stessa della caduta di detriti, e un gran numero furono soffocati sotto le rovine. Coloro che giacevano con una parte del loro corpo sepolto sotto le pietre o le travi di legno, patirono una morte terribile, non essendo in grado di vivere troppo a lungo, ma neppure di trovare una morte immediata.»

Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 24, 1-6

«Così grande era la calamità che travolse Antiochia in questo momento. Traiano si fece strada attraverso una finestra della stanza in cui era alloggiato. Qualcuno più grande della statura umana, sembra sia venuto da lui a prenderlo, per portarlo via, in modo che riuscì a fuggire con solo alcune lievi ferite, e sebbene la situazione perdurasse per diversi giorni, visse fuori di casa nell’ippodromo. Anche il monte Casio subì pesanti scosse di terremoto, tanto che le sue stesse vette sembravano chinarsi e rompersi, pronti a gettarsi sulla stessa città. Molte colline si assestarono, molta acqua non precedentemente visibile venne alla luce, mentre molti corsi d’acqua scomparvero.»

Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 25, 5-6

Non solo la sollevazione ebraica, cui Traiano faceva fatica a far fronte, ma si salvò anche miracolosamente a un violento terremoto che colpì Antiochia, dove soggiornava. L’imperatore morirà poco tempo dopo, a Selinunte di Cilicia (che sarà poi rinominata Traianopoli in età Severiana), l’8 agosto del 117 d.C. In punto di morte l’imperatrice Plotina pare convinse, o costrinse, l’imperatore ispanico ad adottare un parente di Traiano, Adriano (la nonna era la zia di Traiano), firmando anche una lettera, in cui l’imperatore adottava in punto di morte il cugino, che sarà acclamato imperatore solo l’11 di agosto.

Traiano sarà ricordato come il modello del principe ideale, tanto apprezzato sia in vita che in morte, che Dante lo pose nel Paradiso, sebbene fosse pagano. L’optimus princeps sarebbe stato tanto importante per la storia di Roma che ai suoi successori sarà augurato di essere “felicior Augusto, melior Traiano”, ossia “più felice di Augusto, migliore di Traiano”.

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