In seguito alla fine delle guerre civili e la sconfitta di Marco Antonio, Ottaviano aveva ereditato circa 60 legioni, molte delle quali arrese dopo Azio e molte altre decimate e con ranghi tutt’altro che pieni. Per riorganizzare questa enorme mobilitazione di forze armate, ormai professionali e direttamente stipendiate da lui, decise di accorpare molte legioni (da qui quelle che portano il nome di gemina, ossia gemella) e scioglierne altre, dando ai veterani le terre promesse, arrivando al numero di 28.

Si stima che circa 150.000 cittadini militassero nelle legioni e altrettanti non cittadini, peregrini (stranieri che vivevano nelle province sottomesse a Roma) e barbari, negli auxilia, coorti e ali ausiliarie che diventarono stabili ma mai accorpate in unità tattiche superiori alle 1.000 unità (le coorti e ale dette miliaria o le equitatae, ossia miste di fanti e cavalieri). A questi si aggiungevano i marinai della flotta, collocata in larga parte a Miseno in Campania e Classe, vicino Ravenna. Esistevano anche piccole flotte minori come ad Alessandria ma il Mediterraneo era ormai pacificato dopo la campagna di Pompeo contro la pirateria.

In totale dunque l’esercito romano nel I-II secolo d.C., al netto di successivi nuovi reclutamenti e creazione di nuovi reparti, contava all’incirca 400-450.000 uomini, sparsi in un territorio che andava dalla Britannia (conquistata da Claudio e che contava in media ben 3 delle circa 30 legioni) alla Mesopotamia.

L’esercito dell’imperatore e del popolo romano

Ottaviano, ottenuto il titolo di Augusto nel 27 a.C., continuò ad espandere la repubblica romana, che formalmente manteneva in vigore, con una parvenza di continuità costituzionale. Di fatto ormai Roma era sotto il suo controllo politico e militare, avendo ottenuto l’imperium proconsulare maius et infinitum. Durante tutto il suo principato i romani si espansero nel Norico, Illirico, Pannonia, Spagna e Germania; quest’ultima tuttavia fu persa nella sua parte oltre il Reno dopo la disfatta di Teutoburgo.

Pertanto le legioni furono impegnate fino all’epoca di Tiberio in continue campagne militari, specialmente nella zona renana e danubiana. Al termine di queste lunghe campagne militari, che portarono il limes al Reno e al Danubio (e pacificarono la Spagna dopo secoli), le legioni vennero collocate inizialmente in zone non troppo vicine alla frontiera, seppure in province imperiali (ovvero sotto la giurisdizione dell’imperatore: all’incirca tutte quelle che confinavano con le popolazioni barbariche).

Alcune legioni erano raggruppate in campi che ne contenevano più di una; molte erano in Germania e nell’Illirico, pronte a intervenire in caso di necessità. Come ha detto giustamente Luttwak, queste legioni avevano un potere deterrente enorme: bastava il loro stazionamento e il timore dell’intervento romano, aiutato da una serie di stati clienti limitrofi e gli auxilia, per evitare gli sconfinamenti nelle province.

Tuttavia a mano a mano le legioni (e le coorti e ali ausiliarie) vennero spostate sempre più lungo il confine (spesso coincidente coi fiumi naturali, come il Reno e il Danubio, mentre in oriente generalmente erano più vicine alle città), che divenne fortificato e sempre meno permeabile a spostamenti di popolazione incontrollati. Domiziano infine dispose, per evitare accentramenti militari e di finanze (conservate negli accampamenti per pagare le legioni) che avrebbero stimolato alcuni governatori a ribellarsi, decise di vietare accampamenti che contenessero più di una legione.

Oltre alle legioni, gli auxilia e i marinai della flotta erano presenti a Roma 9 coorti di pretoriani (poi diventate 10). Augusto le aveva stanziate in varie regioni italiane, ma già Tiberio decise di raggrupparle a Roma nei castra pretoria. In suo onore presero come simbolo lo scorpione, segno zodiacale dell’imperatore. Augusto creò anche un corpo di vigiles, divisi in 7 coorti (una ogni due quartieri in cui era divisa la città), reclutate perlopiù tra liberti, che avevano il compito di garantire la sicurezza dell’Urbe e fungere da pompieri all’occorrenza, demolendo gli edifici pericolanti per evitare il propagare delle fiamme. Infine tre coorti urbane (diventate poi cinque), sotto il controllo del prefetto dell’Urbe, un senatore, e quindi svincolate formalmente dal principe, completavano le forze di polizia di Roma.

L’imperatore aveva a sua disposizione per la sua difesa personale non solo i pretoriani, ma anche le guardie del corpo germaniche, usate per la prima volta da Cesare, chiamati germani corporis custodes, all’incirca 500-1.000 uomini, delle vere e proprie guardie private, perlopiù di origine batava. Sciolte dopo Nerone, furono riformate da Traiano come equites singulares, dei cavalieri scelti reclutati tra i migliori soldati a cavallo dell’impero. Erano alloggiati in un castra nel luogo dove oggi sorge la basilica di San Giovanni. Proprio l’accampamento, ormai inutile dopo lo scioglimento anche dei pretoriani dopo Costantino, funse da fondamenta per una delle prime basiliche di Roma.

La vita del legionario

Le legioni erano reclutate tra i cittadini romani, principalmente italici. All’epoca di Traiano questi rappresentavano all’incirca un terzo: i restanti erano discendenti dei soldati stanziati nelle province, a loro volta reclutati, o uomini raccolti sul posto, principalmente discendenti di veterani nelle colonie. In oriente tuttavia non era raro che i legionari venissero reclutati tra la popolazione autoctona e concessa la cittadinanza all’atto dell’immissione nell’esercito: in fondo l’oriente grecofono era già molto civilizzato.

Inizialmente Augusto aveva prefissato una ferma di 16 anni e 4 come veterani, per un totale di 20 anni. Tuttavia le lunghe campagne militari in Illirico e Germania lo spinsero ad allungare i tempi a 25 anni, 20 di servizio e 5 come evocati (veterani). Finché Augusto fu in vita i legionari accettarono loro malgrado questa estensione, ma quando Tiberio divenne imperatore divampò la protesta, controllata solo grazie all’intervento di Druso minore:

«La rivolta divampa sempre più forte, si moltiplicano i caporioni. Un soldato semplice, un certo Vibulento, sollevato su le spalle dei compagni davanti al seggio di Bleso, si volse a quegli uomini eccitati e intenti a vedere che cosa si proponeva di fare e disse: «Voi avete restituito la luce e lo spirito a questi infelici innocenti; ma chi renderà a mio fratello la vita, a me il fratello? vi era stato mandato dall’esercito di Germania per trattare degli interessi comuni; ebbene, la notte stessa questi l’ha fatto massacrare dai suoi gladiatori, che tiene in armi per il danno dei soldati. Rispondi, Bleso: dove hai nascosto il cadavere? Quando avrò dato sfogo al mio dolore con baci, con lacrime, ordina che sia trucidato io pure, affinché gli uomini ci seppelliscano insieme, uccisi non per aver commesso un delitto, ma perché ci adoperavamo a vantaggio delle legioni». Rendeva ancor più acceso il suo dire col pianto, si percuoteva con le mani il petto e il volto. Poi, allontanò quelli che lo sostenevano su le spalle, balzò a terra e prostrandosi ai piedi di ciascuno, suscitò costernazione e furore a tal punto che alcuni dei soldati incatenarono i gladiatori di Bleso, alcuni i suoi schiavi, altri si sparsero alla ricerca del cadavere. E se ben presto non si fosse visto che non si trovava nessun cadavere e gli schiavi, sottoposti a tortura, non avessero dichiarato che non c’era stata alcuna uccisione e che quello non aveva mai avuto un fratello, non sarebbero andati molto lontano dall’assassinare il comandante. Comunque, espulsero i tribuni e il Prefetto dell’accampamento e distrussero i loro bagagli mentre fuggivano e uccisero il centurione Lucilio, al quale i soldati per scherno avevano appioppato il soprannome: «Un’altra!», perché quando gli si spezzava una verga su la schiena d’un soldato subito a gran voce ne chiedeva un’altra e poi un’altra ancora. Gli altri centurioni si rifugiarono in nascondigli; fu trattenuto uno, Giulio Clemente, ritenuto atto a farsi latore delle richieste dei soldati per la sua prontezza. E già la legione ottava e la quindicesima si apprestavano a impugnare le armi, poiché quella chiedeva la morte d’un centurione di nome Sirpico, questa lo difendeva, fino a che intervennero i soldati della nona con preghiere e, con quelli che non li ascoltavano, con minacce.»

Tacito, Annali, I, 22-23

A partire da Cesare la paga del legionario era di 225 denari annui, cioè 900 sesterzi. La cifra è modesta, ma garantiva ai soldati, reclutati spesso tra proletari che non generalmente avevano altre fonti di reddito, una modesta rendita, che insieme alla liquidazione che ricevevano al congedo (in denaro o terre) permetteva loro di farsi un piccolo appezzamento di terra o avviare una piccola attività commerciale. D’altro canto in alcune zone di frontiera, come la Germania e la Pannonia, la moneta circolava principalmente grazie alle paghe fornite all’esercito, che le reimmetteva nell’economia reale acquistando beni e servizi. Alla paga, già di per sé non elevata, venivano sottratte le spese per il cibo e i rifornimenti, come i vestiti.

Le condizioni però migliorarono nel corso del tempo: Domiziano aggiunse una quarta rata al pagamento (prima fatto in tre rate annuali) di 75 denari, portandolo a 300 denari (1.200 sesterzi). A partire dall’epoca di Marco Aurelio fu istituita l’annona militare, prima in via provvisoria, poi definitiva da Settimio Severo. Grazie all’annona veniva requisito o acquistato a prezzo conveniente per lo stato l’occorrente per l’esercito, vettovagliamento e armi da fornire all’esercito, che quindi non se lo vedeva più sottratto dalla paga.

Dall’età dei severi inoltre la paga fu aumentata da Settimio Severo e di un altro 50% da Caracalla; inoltre venne garantito il matrimonio durante il servizio (prima consentito praticamente solo ai senatori) e dato l’accesso al ceto equestre ai primipili. Dal III secolo inoltre saranno sempre più frequenti i donativi, una tantum, in oro, dati all’esercito, che arricchiranno la paga e forniranno spesso il pretesto per acclamare un nuovo imperatore (il quale era tenuto a donare oro quando scelto).

I legionari potevano comunque ottenere paghe più alte: andando avanti con gli anni si scalavano i ranghi interni, divenendo immunes (esenti dai servizi gravosi) e sesquiplicarii (dalla paga di una volta e mezza). Erano questi i principales (ovvero i principali ufficiali della legione, circa 480):

  • beneficiarius
  • tesserarius
  • cornicen
  • bucinator
  • tubicen

Oppure duplicarii (dalla paga doppia):

  • aquilifer
  • imaginifer
  • cornicularius
  • optio (vice del centurione)
  • signifer
  • medicus
  • campidoctor

A questi si sommavano i legionari che svolgevano lavori come fabbri e artigiani e i centurioni, divisi in base alla centuria che comandavano.

Organizzazione della legione e degli auxilia

«[…] i centurioni devono essere, non tanto uomini audaci e sprezzanti del pericolo, quanto invece in grado di comandare, tenaci e calmi, che inoltre, non muovano all’attacco quando la situazione è incerta, né si gettino nel pieno della battaglia, ma al contrario sappiano resistere anche se incalzati e vinti, e siano pronti a morire sul campo di battaglia.»

Polibio, Storie, VI, 24, 9

Dopo la riforma dell’esercito di Gaio Mario, che lo rendeva professionale, le legioni vennero composte non più da manipoli ma da 10 coorti di circa 480 uomini l’uno. Sopravviveva ancora, più in modo formale che tattico, il manipolo; infatti i centurioni erano distinti in base al manipolo e la centuria di appartenenza (tre manipoli facevano una coorte): hastatus prior, hastatus posterior, princeps prior, princeps posterius, pilus prior, pilus posterius, laddove il pilus (ovvero il triarius) prior della prima coorte era chiamato comunemente primus pilus ed era il centurione più alto in comando della legione. In ogni caso inizialmente il manipolo non sparì del tutto poiché Cesare lo menziona nel suo De Bello Gallico:

«Cesare, riunite le insegne della XII legione, i soldati accalcati erano d’impaccio a se stessi nel combattere, tutti i centurioni della quarta coorte erano stati uccisi ed il signifer era morto anch’egli, dopo aver perduto l’insegna, quasi tutti gli altri centurioni delle altre coorti erano o feriti o morti […] mentre i nemici, pur risalendo da posizione da una posizione inferiore, non si fermavano e da entrambi i lati incalzavano i Romani […] Cesare vide che la situazione era critica […] tolto lo scudo ad un soldato delle ultime file […] avanzò in prima fila e chiamati per nome i centurioni, esortati gli altri soldati, ordinò di avanzare con le insegne allargando i manipoli, affinché potessero usare le spade. Con l’arrivo di Cesare ritornata la speranza nei soldati e ripresi d’animo […] desiderarono, davanti al proprio generale, di fare il proprio dovere con professionalità, e l’attacco nemico fu in parte respinto. Cesare avendo poi visto che anche la legione VII era incalzata dal nemico, suggerì ai tribuni militari che a poco a poco le legioni si unissero e marciassero contro il nemico voltate le insegne. Fatto questo, dopo che i soldati si soccorrevano vicendevolmente senza più aver paura di essere presi alle spalle dal nemico, cominciarono a resistere con maggior coraggio e a combattere più valorosamente. Frattanto le due legioni che erano state nelle retroguardie e di scorta alle salmerie [le legioni XIII e XIV] giunta notizia della battaglia, presero a correre a gran velocità […] Tito Labieno dopo aver occupato il campo nemico, e visto quanto accadeva nel nostro campo da un’altura, mandò in soccorso ai nostri la legione X.»

(Cesare, De bello Gallico, II, 25-26)

Dunque la legione aveva 10 coorti di 480 uomini circa più 120 cavalieri, per un totale di 5.000 uomini (a partire dall’età flavia la prima coorte diventerà di 800 uomini invece che di 480, poiché aveva 5 centurie doppie, invece di 6 standard). Ogni coorte era divisa in 6 centurie, composte a loro volta da 10 contubernia di 8 uomini, che formavano l’unità base dell’esercito e che erano nella stessa tenda.

Inoltre ogni legione aveva un simbolo che la rappresentava, di origine animale, come un cinghiale o un lupo, mentre tutte avevano come insegna fin da Gaio Mario l’aquila, portata da un aquilifer. Questo era un simbolo sacro e perderlo in battaglia significava una disgrazia: non è un caso che Augusto si premurò di recuperare le insegne di Crasso prese dai parti a Carre e che Germanico trovò due delle tre aquile perse a Teutoburgo.

Al comando di una legione c’era un legatus legionis di estrazione senatoria e che doveva aver già ricoperto alcune cariche politiche; di solito dopo questo comando si otteneva una provincia propretoria e un consolato. Al di sotto del legato (che dipendeva dal governatore della provincia, il legatus Augusti pro praetore) c’erano 6 tribuni, di cui uno era un tribuno laticlavius di famiglia senatoria che svolgeva la sua prima esperienza militare e 5, angusticlavi (ossia dal clavio, il bordo color porpora della tunica, più sottile, per riconoscerli). Alcuni studiosi hanno supposto che i 5 tribuni potessero comandare ognuno 2 coorti e che il tribuno laticlavio fungesse da vice del legato.

Solo l’Egitto, che era amministrato come proprietà privata del principe, aveva come comandante di legione un cavaliere praefectus legionis agens vice legati. Successivamente Settimio Severo recluterà tre legioni partiche affidandole tutti a prefetti analoghi a questo. C’era infine, a controllare l’accampamento e la legione, un prefetto apposito, il praefectus castrorum, che si collocava un gradino sotto il tribuno laticlavio e uno sopra il primipilo.

Le legioni, accorpate in grandi accampamenti e con funzione più di deterrenza che altro, furono progressivamente spostate al confine (il limes) e frazionate in campi singoli. A partire dall’epoca di Marco Aurelio si comincerà a fare uso di vexillationes (distaccamenti) inviati all’occorrenza per rafforzare un fronte. Nel corso dei secoli queste vexillationes resteranno talvolta permanentemente nei nuovi luoghi e formeranno nuove unità in epoca tardoantica.

Alle legioni si affiancavano poi gli auxilia, precedentemente raccolti alla bisogna tra i regni clienti e ora regolarizzati in una forza professionale (es. Cohors I Brittonum, Ala I Brittonum etc.), che invece erano raccolti in più piccoli castra che contenevano una sola coorte o ala ausiliaria, spesso collocati in prossimità del confine fortificato come per esempio in Germania, o talvolta anche oltre: per difendere la nuova provincia degli Agri Decumates, annessi da Domiziano, collocati tra il Reno e il Danubio, verranno creati una fittissima rete di piccoli forti ausiliari. Gli auxilia prenderanno comunque nomi latini e verranno comandati da ufficiali romani di estrazione equestre, la cui carriera venne normalizzata dall’imperatore Claudio.

«Regolò la carriera militare dei cavalieri in modo tale da dare loro prima il comando d’una coorte, poi di un’ala e poi il tribunato di una legione. Istituì gli stipendi e una sorta di milizia fittizia, chiamata soprannumeraria, in cui, senza prestare servizio, si poteva usufruire del titolo solo nominalmente.»

Svetonio, Claudio, 25

Tattiche

In epoca repubblicana lo schieramento manipolare prevedeva la legione schierata con i manipoli di hastati, principes e triarii sfalsati, in modo che i principi potessero chiudere gli spazi tra i manipoli degli astati o sostituirli e i triari intervenire solo in caso di estrema necessità. Alle legioni di cittadini romani, schierate al centro, si affiancavano i socii, che fornivano un numero uguale di truppe e che venivano poste ai fianchi in combattimento e nell’anello più esterno nell’accampamento.

Cesare continuò ad usare questo schieramento, per coorte e non più per manipolo, su tre linee, il triplex acies. Generalmente aveva 4 coorti in prima linea (con la prima a destra), 3 sulle seconde due. Truppe leggere, ausiliari e cavalleria continuavano ad affiancare le legioni. Talvolta però si usava anche un duplex acies, con la prima coorte sempre davanti a destra, ma con la legione disposta su due file di 5 coorti ciascuna. In età imperiale la tattica diventò più flessibile, come nel caso di Agricola che mise invece gli ausiliari al centro e non fece combattere i preziosi legionari al Monte Graupio, nell’ 84 d.C.:

«Agricola dispose gli ottomila fanti ausiliari, entusiasti e frementi, a rafforzare il centro; i tremila cavalieri andarono a collocarsi alle ali. Le legioni rimasero schierate davanti al vallo: grande merito perché sarebbe stato risparmiato sangue romano in caso di vittoria immediata, riserva in caso di momentaneo ripiegamento.»

Tacito, Agricola, 35

I romani cominciarono dunque ad adottare tattiche innovative per adattarsi al nemico. E’ il caso di Arriano, che all’inizio del II secolo d.C. aveva creato uno schieramento estremamente preciso per arrestare i terribili catafratti alani:

«[…] Al centro la XV Legione tiene l’intero fianco destro estendendosi ben oltre […] dato che i suoi uomini sono molto più numerosi. La parte rimanente del lato sinistro è occupata completamente dalla XII Legione […]. Essi sono schierati con la profondità di otto uomini e in ordine chiuso. I primi quattro ranghi sono legionari, armati di pilum, che ha una punta di ferro lunga e affusolata, Il primo rango li tiene davanti a sé come difesa, così che se il nemico viene vicino a loro, essi conficchino la punta di ferro nei petti dei loro cavalli. Gli […] uomini dietro a questi del terzo e quarto rango scagliano una salva di pila ovunque trovino un bersaglio, ferendo i cavalli e trafiggendo i cavalieri, e quando un pilum è conficcato in uno scudo o in un corsetto corazzato e si piega, a causa della morbidezza del ferro, rendono il cavaliere impacciato. I ranghi successivi sono giavellottieri. Un nono rango dietro di essi è costituito da arcieri appiedati[…]. Le macchine da guerra sono schierate dietro ciascuna ala in modo da tirare al nemico che carica dal più lontano possibile, così pure da dietro l’intera linea di battaglia. L’intera cavalleria è schierata assieme dietro la fanteria, divisa tra ausiliari e otto coorti di cavalleria. Le coorti di cavalleria hanno di fronte a sé la fanteria e gli arcieri come protezione. Le rimanenti sei coorti di cavalleria sono al centro […]. Di queste, gli arcieri a cavallo prendono posizione subito dietro la linea di battaglia per tirare sopra di essa […]. Attorno a Senofonte si pone la guardia di cavalleria e circa 200 uomini della fanteria pesante, le guardie del corpo, e in particolare i centurioni aggregati alla cavalleria della guardia o i comandanti delle guardie del corpo, così pure i decurioni della cavalleria della guardia. Attorno a lui anche un centinaio di giavellottieri leggeri della guardia[…]»

Arriano, Ektaxis kata Alanon, 13-24

Tuttavia solitamente i romani usavano lanciare il pilum per poi caricare il nemico. Il pilum era progettato per penetrare lo scudo e se possibile uccidere l’uomo dietro; qualora questo non fosse possibile il peso dell’asta conficcata e impossibile da estrarre per la sua punta piramidale costringeva il nemico a gettare lo scudo, rendendolo facile vittima dei terribili gladi romani.

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