«I condottieri delle bande avevano un colore solo in quanto perseguitavano inesorabilmente i loro nemici personali; così Clodio perseguitò Cicerone, Milone il suo nemico Clodio, per cui la loro posizione di partito in queste contese personali serviva come una mossa scacchistica.
Il protagonista su questo teatro politico di mascalzoni era Publio Clodio. Abbandonato a se stesso, questo partigiano influente, capace, energico, e, nel suo mestiere, veramente esemplare, seguì durante il suo tribunato del popolo una politica ultrademocratica; […] se inoltre la legge che Clodio aveva già pronta e come pretore del 52 a.C. pensava di far adottare, accordava ai liberti e agli schiavi che erano liberi di fatto gli stessi diritti politici dei nati liberi, l’autore di queste energiche riforme costituzionali poteva ben dire di aver portato al colmo la sua opera e, come novello Numa della libertà e dell’uguaglianza, invitare la dolce plebe della capitale ad assistere al solenne sacrificio nel tempio della libertà, eretto sul Palatino, su qualche teatro dei suoi incendi, per inaugurare gli allori dell’era democratica. Questi sforzi di libertà non escludevano il traffico che naturalmente si faceva delle leggi comiziali; come Cesare, così anche la scimmia di Cesare concedeva per danaro ai suoi concittadini luogotenenze e altri posti e posticini, e ai re vassalli e alle città suddite i diritti sovrani dello stato.»

Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, pp. 910-911, Sansoni

Publio Clodio Pulcro, appartenente alla famiglia patrizia dei Claudii e discendente di Appio Claudio Cieco, nacque a Roma nel 93 o 92 a.C. Il suo nome in origine doveva essere quindi Publio Claudio Pulcro. Il padre era Appio Claudio Pulcro, sostenitore di Silla, che ricoprì il consolato nel 79 a.C.; Clodio aveva anche dei fratelli: Appio, Gaio e la sorella maggiore Clodia, oltre a due sorelle omonime minori. Attorno al 62 o 61 a.C. Clodio sposò Fulvia (che successivamente avrebbe sposato Marco Antonio), adottata nel 62 a.C. dal console Lucio Licinio Murena e da cui ebbe due figli: Publio Claudio e Clodia Pulcra, moglie nel 43 a.C. di Ottaviano. Non si sa molto della gioventù di Clodio se non dai racconti di parte di Cicerone, il quale asseriva che si sarebbe lasciato andare a relazioni incestuose con le sorelle e a rapporti con vecchi lussuriosi.

«Ovunque, nelle strade, [a Cicerone] si opponeva Clodio, con uomini violenti e audaci, che facevano dello spirito insolente e canzonatorio sul suo atteggiamento, e spesso impedivano le sue petizioni al popolo lanciandogli contro dei sassi.»

Plutarco, Cicerone, 30, 7

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Le prime esperienze politiche

«Allora [Clodio] prestava servizio militare con Lucullo, senza essere tenuto – così credeva – in tanto onore quanto meritasse. Riteneva di essere il primo fra tutti, ma poiché per il suo carattere era lasciato dietro a molti, cominciò a metter su i soldati già appartenenti all’esercito di Fimbria e a incitarli contro Lucullo, diffondendo cattivi discorsi a uomini che non erano né mal disposti né disabituati a lasciarsi trascinare dalle arti della demagogia. […] Colpito nel morale [dai discorsi di Clodio], l’esercito di Lucullo si rifiutò di seguirlo contro Tigrane e contro Mitridate.»

Plutarco, vite parallele, lucullo, 34

Dopo la vittoria di Lucullo a Tigranocerta Clodio, che era al suo seguito nella guerra contro Mitridate, fomentò il malcontento dei soldati, che temevano di restare in Asia ancora a lungo; il fallimento di Lucullo avrebbe favorito l’ascesa di Pompeo, che avrebbe preso per sé il comando supremo sull’oriente. Andato poi in Cilicia Clodio ottenne una flotta dal cognato e governatore Quinto Marcio Re, ma venne catturato dai pirati cilici; venne liberato alla vittoria di Pompeo, nonostante avesse richiesto aiuto al re Tolomeo di Cipro. Quest’ultimo aveva inviato soltanto due talenti: Cicerone racconta che durante la prigionia Clodio venne costretto a soddisfare i desideri sessuali dei suoi carcerieri. Tornato in libertà andò ad Antiochia dove, nel tentativo di favorire Marcio Re, sobillò la popolazione a favore del loro protetto Filippo II contro gli Arabi che appoggiavano il re seleucide Antioco XIII, ma senza successo; anzi, rischiò di venire ucciso.

Rientrato a Roma, dove evitò la vendetta di Lucullo (che, sposato con Clodia, divorziò) e iniziò la sua ascesa politica nel 65 a.C. I romani facevano i loro primi passi in questo mondo tramite l’ambiente forense: decise dunque di appoggiare le accuse contro Sergio Catilina, ma la sua personalità era tanto ambigua da far pensare a Cicerone di difendere il suo futuro avversario, anche se alla fine non lo fece. Nel 64 a.C. Clodio fu inviato in Gallia Narbonense, dove era governatore il suo futuro suocero Murena e secondo Cicerone ancora una volta si macchiò di immoralità falsificando documenti ufficiali e macchiandosi di vari crimini tra cui omicidi. Durante il 63 a.C., quando avvenne la congiura di Catilina, Clodio e Murena parteggiarono saldamente per Cicerone, ma in seguito quando i rapporti tra i due vennero meno l’Arpinate accusò Clodio di aver appoggiato Catilina.

Lo scandalo

«Publio Clodio, figlio di Appio, è stato colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, ed è riuscito a fuggire via solo per l’aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato.»

Cicerone, lettere ad attico, I, 12,3

Nel 62 a.C. Clodio venne eletto questore per l’anno successivo, il 61 a.C. ed era in attesa di conoscere la provincia a lui assegnata. La notte tra il 4 e 5 dicembre si festeggiava la festa della Bona Dea e si operavano i riti della Damia, nella casa del Pontefice Massimo, Gaio Giulio Cesare, appena eletto tra l’altro come pretore; la festa per tradizione era interdetta agli uomini e i riti officiati dalle donne. Clodio era amante della moglie di Cesare, Pompea, motivo per cui decise di introdursi in casa travestito da donna, fingendosi flautista; grazie a un’ancella di Pompea, di nome Abra, riuscì ad entrare indisturbato, ma venne poco dopo scoperto da un’altra ragazza: accorsero le altre donne e la madre di Cesare, Aurelia Cotta, che presiedeva il rito, che cacciò Clodio. Sul perché quest’ultimo rischiò così tanto non è dato saperlo: forse una bravata giovanile, forse una sfida nei confronti di Cicerone, a cui l’anno prima le vestali avevano predetto un auspicio favorevole della Bona Dea.

Il 1 gennaio del 61 a.C. il cesariano Quinto Cornificio riportò al senato la vicenda e venne aperto un processo contro Clodio, mentre le vestali e i pontefici ordinavano di ripetere i Damia. Il senato propose che a giudicare Clodio sarebbe dovuto essere un pretore urbano, per evitare che il popolo presentasse un candidato di parte; nel tentativo di favorire Clodio il console Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano presentò una legge che proponeva la selezione della giuria: sapendo che la proposta non sarebbe passata, nel caos successivo avrebbe potuto salvare Clodio. Infatti la proposta venne respinta e alla notizia i seguaci di Clodio scatenarono disordini in città, guidati da Curione. Il senato fu dunque costretto ad approvare una legge in cui ritardava qualsiasi provvedimento a dopo il processo di Clodio, bloccando l’assegnazione delle province. Il processo si aprì ad aprile: le testimonianze furono fin dal principio schiaccianti nei confronti di Clodio, anche se Cesare preferì non testimoniare (e ripudiò la moglie Pompea), così come Pompeo e Catone; Pompea non venne chiamata a testimoniare.

Clodio si difese strenuamente e chiamò in causa false testimonianze, che posizionavano la sua figura lontano da Roma durante i Damia; ma Cicerone testimoniò di aver incontrato poche ore prima Clodio a Roma, causando nuovi disordini:

«Constatato quanti pezzenti erano tra i giudici, ammainai le vele e nella mia testimonianza mi limitai a deporre quello che, essendo di dominio pubblico, non si poteva passare sotto silenzio.»

Cicerone, Lettere ad Attico, I, 16

Dopo questa testimonianza Clodio rischiava la morte o l’esilio e pertanto i suoi sostenitori assediarono il tribunale, mentre il pretore a capo dell’inchiesta dovette assegnare una scorta armata ai giudici e fu costretto a rinviare la sentenza. A quel punto Crasso finanziò Clodio, che riuscì a corrompere gran parte dei giurati, venendo poi assolto per 31 voti a 25, soprattutto grazie ai voti dei cavalieri. Cicerone, ritornato in senato, paragonò Clodio a Catilina, ma stavolta Clodio riprese la sua carriera politica e venne inviato come questore in Sicilia, mentre Cicerone tentava di far indagare i cavalieri che lo avevano assolto.

Ritornato a Roma Clodio pronunciò il 24 maggio del 60 a.C. la sacrarum detestatio: rifiutò le proprie origini patrizie, in modo da poter diventare tribuno della plebe nel 58 a.C. e dunque longa manus di Giulio Cesare nell’agone politico di Roma. Di lì a poco riuscì anche la sua vendetta contro Cicerone, che venne accusato dietro istigazione di Clodio di aver condannato ingiustamente dei cittadini romani a morte durante la congiura di Catilina e venne per questo esiliato con la lex de exilio Ciceronis. Non pago, Clodio si appropriò anche delle proprietà dell’Arpinate e della sua casa del Palatino, tanto poi da costringere quest’ultimo a una famosa difesa «Cicero pro domo sua», dinanzi ai pontefici, nel 57 a.C., quando tornò dall’esilio.

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Publio Clodio Pulcro e lo scandalo della Bona Dea
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