La rivolta di Spartaco, attorno il 73 a.C., fu la più grande rivolta servile del mondo antico. Dopo il grande afflusso di schiavi del II secolo a.C., dovuto alla repentina espansione romana nel Mediterraneo, molti latifondi italici, specialmente al sud e in Sicilia, furono riempiti di schiavi orientali, mentre i piccoli contadini migravano nelle città, formando il proletariato delle nuove legioni mariane. Spartaco, delle cui origini si sa poco, se non che forse fosse trace (o forse con trace si faceva riferimento al suo tipo di gladiatura), guidò la rivolta di gladiatori di Capua (i gladiatori erano anch’essi schiavi), a cui si unirono enorme masse in tutta Italia.

La ribellione

Appiano e Sallustio, principali fonti sull’argomento, forniscono due versione sulle sue origini. Secondo la prima era un ausiliario trace che aveva disertato ed era stato catturato, mentre nella seconda era un trace che combatteva per Mitridate e catturato, era stato condannato a combattere nell’arena. Nato all’incirca attorno al 110 a.C.,forse in Tracia (o forse per trace si intendeva il suo equipaggiamento come gladiatore). Sul suo stesso nome non v’è certezza: forse latinizzazione di Sparadakos (famoso per la sua lancia), Spartakos (un luogo della Tracia o un suo sovrano leggendario), forse derivato da Sparta per la sua maestria in combattimento. In ogni caso è probabile che il nome Spartacus gli venne dato dal suo lanista, Lentulo Batiato. Infatti divenne un gladiatore della scuola di Capua all’incirca nel 75 a.C., dove poco tempo dopo decise di ribellarsi.

Esasperato dalle condizioni di vita cui era sottoposto, Spartaco guidò, nel 73 a.C., una rivolta dalle cucine dell’anfiteatro, usando come armi posate e altri attrezzi. Riuscì ad evadere insieme ai suoi compagni e rifugiarsi sul monte Vesuvio (all’epoca in cima ricoperto da foreste), dove nonostante i ribelli fossero meno di un centinaio riuscirono a respingere la guarnigione romana locale e si poterono armare; Spartaco insieme a Enomao e Crisso vennero eletti capi della rivolta.

Il senato allora inviò due pretori, Gaio Claudio Glabro e poi Publio Varinio in Campania, con il compito di stroncare la ribellione. Tuttavia l’esercito del primo era raccogliticcio, anche se contava circa 3.000 uomini, poichè non ci si aspettava una grande minaccia. Glabro bloccò l’unica via di fuga, ma non costruì neanche il campo: i ribelli si calarono di notte con delle funi sull’altro versante del Vesuvio, accerchiando il campo romano e dandosi al massacro. L’eco della vittoria fece arrivare tra i ribelli numerosi fuggitivi, schiavi e poveri, che cercavano rivalsa verso Roma, ingrossando le fila dell’esercito di Spartaco. Quest’ultimo successivamente sconfisse anche il pretore Publio Varinio, aumentando ancora di più il suo prestigio. I consoli Gaio Cassio Longino e Marco Terenzio Varrone Lucullo avevano preso sottogamba la questione e ora si trovavano una rivolta che divampava in tutto il sud Italia. Ma anche tra i ribelli c’era aria di crisi: non essendo tutti d’accordo i germani e galli, capeggiati da Crisso ed Enomao volevano attaccare Roma mentre Spartaco era contrario. Si decise infine di spostarsi in Lucania e Calabria, dove i rivoltosi si diedero al saccheggio.

Nel 72 a.C. il console Lucio Gellio Publicola, incaricato insieme al collega Gneo Cornelio Lentulo Clodiano di schiacciare la ribellione, riportò una vittoria decisiva con le forza gallo-germaniche di Crisso, che trovò la morte nella battaglia del Gargano. Gellio si mosse poi verso nord, inseguendo Spartaco che si stava spostando verso le Alpi in fuga, il quale tuttavia riuscì a sconfiggere l’esercito di entrambi i consoli. Secondo Appiano, per vendicare la morte di Crisso, seguendo i riti funebri romani, Spartaco decise di far combattere come gladiatori, all’ultimo sangue, 300 soldati catturati. Continuando verso nord Spartaco sconfisse anche il proconsole Gaio Cassio Longino Varo nei pressi di Modena, il quale si salvò a stento. Tuttavia, arrivato quasi alla meta, per motivi sconosciuti, il gladiatore trace decise di tornare indietro, arrivando finoa Thurii, in Lucania, dove sconfisse un altro esercito romano.

Il senato decise quindi di dare pieni poteri al proconsole Marco Licinio Crasso per sedare la rivolta. Forte delle sue enormi ricchezze, ottenne il comando di otto legioni, prendendone sei per affrontare Spartaco (più due raccolte tra i sopravvissuti degli scontri con il ribelle), che vennero però decimate tramite il sistema della verberatio, ossia a bastonate, dopo una prima sconfitta inflitta dal trace a Mummio, uno degli ufficiali del proconsole. Fu allora che Spartaco decise di abbandonare l’Italia e mettersi d’accordo con i pirati cilici, i quali però non arrivarono mai, forse comprati dall’oro del governatore di Sicilia Gaio Licinio Verre. Intrappolati in Calabria, Crasso diede ordine di costruire un enorme muro che tagliasse la punta dello stivale per affamarli. Tuttavia il trace riuscì ad aggirarlo e risalire verso nord, inseguito da Crasso.

La battaglia finale

Impossibilitato a fuggire, avvenne lo scontro finale: secondo Appiano e Plutarco in Calabria a Petelia (Strongoli), secondo Orosio in Lucania (oggi in Campania), presso la sorgente del fiume Sele. Plutarco narra che Spartaco abbia ucciso il suo cavallo prima della battaglia, dicendo che se avesse vinto ne avrebbe avuti quanti ne desiderava, altrimenti non ne avrebbe avuto più bisogno. Il comandante ribelle avrebbe cercato poi di affrontare personalmente Crasso ma sarebbe stato infine accerchiato e massacrato dai legionari mentre continuava a combattere fino all’ultimo. Sallustio riporta che il corpo non venne più ritrovato perché irriconoscibile. Alcune migliaia di ribelli riuscirono a fuggire, ma vennero intercettati da Pompeo che sopraggiungeva con i rinforzi dalla Spagna. Circa 5-6.000 ribelli furono dunque crocifissi lungo la via Appia, da Capua fino a Roma, a monito di eventuali ulteriori rivolte servili.

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Spartaco e la terza guerra servile
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