L’optimus princeps fu talmente importante per la storia di Roma e gradito dai suoi contemporanei che ai suoi successori sarà augurato di essere “felicior Augusto, melior Traiano”, ossia “più fortunato di Augusto e migliore di Traiano”.
Il passaggio dalla repubblica all’impero
«Sebbene il popolo gli offrisse con grande insistenza la dittatura, egli, piegato in ginocchio, tiratasi giù dalle spalle la toga e denudatosi il petto, supplicò di non addossargliela. Respinse sempre con orrore, come un insulto infamante, l’appellativo di padrone. Una volta, mentre egli assisteva allo spettacolo, poiché in un mimo era stata recitata l’espressione: O giusto e buon padrone! tutti quanti, come se fossero pienamente d’accordo che il verso si riferisse a lui, applaudirono esultanti; Augusto prima frenò quelle indecorose adulazioni con la mano e con il volto, poi, l’indomani, le redarguì con un durissimo comunicato. Da allora non tollerò di essere chiamato padrone nemmeno dai suoi figli o nipoti, né sul serio né per gioco, e vietò simili piaggerìe anche tra loro stessi.»
Dal Principato al Dominato
A partire da Diocleziano viene introdotto il rito orientale della proskynesis, ossia della prostrazione di fronte l’imperatore, seguendo un ordo salutationis. L’adoratio dell’imperatore seguiva infatti un rituale preciso; anche ciò che lo circondava divenne sacro: l’assemblea il sacrum concistorum e la camera da letto il sacrum cubiculum, con un addetto che era tra i massimi ministri dell’impero tardoantico, il praepositus sacri cubiculi, primo funzionario nella Notitia Dignitatum dopo i prefetti al pretorio e i magistri militum.
Galba e l’invenzione del principio dell’adozione
«Alle sue parole non seguirono né doni né lusinghe. Tuttavia i tribuni, i centurioni e i soldati più vicini risposero acclamandolo. Gli altri, però, erano mesti e silenziosi perché avevano perso, con la guerra alle porte, dei donativi che si davano perfino in tempo di pace. Eppure quel vecchio troppo parsimonioso avrebbe potuto conciliarsi gli animi anche con una gratifica di minima entità. Gli fu fatale il severo rigore di stampo antico, che ormai male si concilia con la nostra epoca.» (TACITO, HISTORIAE, I, 18)
L’eredità di Augusto
Augusto decise come primo erede il nipote Marcello, figlio di sua sorella Ottavia, poi Agrippa, infine Gaio e Lucio Cesare, ma tutti morirono prima del tempo. Alla fine fu costretto a scegliere Tiberio, visto che l’altra scelta possibile, Agrippa Postumo, considerato un pazzo, era stato esiliato dall’imperatore.
La successione di Traiano
Il nonno di Cassio Dione, all’epoca governatore di Cilicia, gli riferì che Plotina imitò la voce di Traiano morente, affermando di adottare Adriano.
Marco Aurelio: l’imperatore filosofo
Marco Aurelio ebbe come maestro il filosofo Frontino, da cui imparò la filosofia stoica, che divenne un cardine del suo modus vivendi.
La fine della repubblica
Quando Ottaviano ricevette il titolo di Augusto e la tribunicia potestas, unita all’imperium maius e al pontificato massimo, divenne padrone della repubblica.
Augusto e la res publica
Augusto ottenne una serie di poteri straordinari, mantenendo all’apparenza lo status di privato cittadino, ma al contempo di primus inter pares tra i senatori.
I dittatori romani
Durante la repubblica in caso di emergenza i romani eleggevano un dittatore. Dopo gli abusi di Silla e Cesare Ottaviano abolì la carica, divenendo “princeps”.