Aulo Vitellio nacque nel settembre del 15 d.C.; figlio di Lucio, che fece una brillante carriera sotto Claudio (occupando insieme a lui la censura), era di famiglia di estrazione incerta. Secondo i suoi partigiani erano discendenti del dio Fauno e della dea Vitellia, mentre Cassio Severo sosteneva che i Vitelli discendessero da un liberto che di mestiere faceva il ciabattino.

«Sull’origine dei Vitellî ci sono varie tradizioni, tra loro anche assai discordanti. Alcuni la considerano antica e nobile, altri invece recente, oscura e volgare. Penserei che tali contraddizioni siano da metter sul conto di adulatori e denigratori dell’imperatore Vitellio; se non che già da prima esistevano contrastanti pareri sulla condizione della famiglia. Ci resta un opuscolo di Quinto Elogio, dedicato a Quinto Vitellio questore del divo Augusto, in cui si sostiene che i Vitelli, discesi da Fauno, re degli Aborigeni, e da Vitellia, venerata in molti luoghi come una divinità, avrebbero dominato su tutto il Lazio; che un loro ultimo ramo si sarebbe trasferito dalla Sabina a Roma e sarebbe stato accolto nel rango senatorio; che, testimonianza della stirpe, sarebbero rimaste a lungo una via Vitellia, dal Gianicolo fino al mare, e una colonia dello stesso nome: colonia che una volta la gens avrebbe chiesto di difendere, con le sue sole forze, contro gli Equi; che infine, al tempo delle guerre sannitiche, alcuni dei Vitellî, mandati a presidiare l’Apulia, si sarebbero fermati a Nocera, da dove la loro progenie, dopo lungo intervallo, sarebbe tornata a Roma reintegrandosi nella dignità senatoria. Di contro, molti invece hanno sostenuto che il capostipite della famiglia sarebbe stato uno schiavo affrancato. Anzi Cassio Severo e altri analogamente hanno precisato che costui era un ciabattino; il cui figlio, trovato il modo di arricchire con i proventi di aste ed esazioni, da una prostituta, figlia di tale Antioco fornaio, ebbe un discendente che fu cavaliere romano. Ma resti pure in sospeso ciò che è controverso.»

Svetonio, Vitellio, 1-2

Una battuta infelice

«Tutto egli aveva conseguito non per alcun suo merito, ma per la gloria del nome paterno. Gli fu conferito il principato da chi non lo conosceva; le simpatie dell’esercito, che raramente si guadagnano con le buone qualità, egli ottenne con l’indolenza. Aveva tuttavia una certa franchezza e generosità; doti che, se fuor di misura, portano alla rovina. Si accaparrò amicizie, ma non ne ebbe realmente, perché credeva che si possano mantenere con la larghezza dei favori, non con la fermezza del carattere.»

Tacito, Historiae, III, 86

Quando Galba divenne imperatore, affidò a Vitellio il compito di reprimere la rivolta in Germania, ma lì fu acclamato imperatore. Alla notizia della morte di Galba, su invito di Fabio Valente e Aulo Cecina Alieno, ed essere stato chiamato “Germanico”, titolo che apprezzava più di “Augusto”, marciò in Italia contro Otone, i cui soldati sconfisse a Bedriaco, nei pressi di Cremona.

«Ebbe notizia della vittoria di Bedriaco e della morte di Otone mentre era ancora in Gallia. Senza indugio con un unico editto esautorò tutte le coorti dei pretoriani, quante ce n’erano, per il pessimo esempio che avevano offerto e ordinò che consegnassero le armi nelle mani dei loro ufficiali. Inoltre fece ricercare e condannare centoventi pretoriani di cui aveva trovato le petizioni rivolte a Otone con la richiesta di un premio per essersi impegnati nell’uccisione di Galba. Fu un gesto, il suo, davvero apprezzabile e nobile, tale da far nascere la speranza di un ottimo principato, se le altre sue azioni non fossero state intonate più al suo temperamento e alla sua vita precedente che alla maestà dell’impero. In realtà, messosi in cammino, si fece portare in mezzo alle città come un trionfatore e attraversò i fiumi su raffinate imbarcazioni inghirlandate di corone d’ogni genere in una profusione di feste e di banchetti. Domestici e soldati erano privi ormai di ogni freno, ma egli volgeva a scherzo le loro ruberie e le loro insolenze; e quelli del suo seguito, non contenti dei conviti imbanditi dovunque a spese pubbliche, affrancavano gli schiavi secondo il loro capriccio, ripagando quanti tentavano di fare opposizione con bastonature e sferzate, spesso con ferite e non di rado con la morte. Quando visitò i campi dove si era combattuto, mentre non pochi inorridivano al lezzo dei cadaveri in decomposizione, egli ebbe l’ardire di rincuorarli con questa battuta spregevole: «Ha sempre un buonissimo odore il nemico ucciso, meglio ancora se è un concittadino». Però, per l’orribile fetore, bevve davanti a tutti una gran sorsata di vino, e vino fece distribuire agli astanti. Con una simile fatua vanità, guardando la lapide con l’iscrizione posta a memoria di Otone, esclamò che era proprio degna di quel mausoleo; e mandò il pugnale con cui Otone si era ucciso a Colonia Agrippinense perché fosse dedicato al tempio di Marte. Poi, in cima agli Appennini, volle celebrare una veglia di ringraziamento.»

Svetonio, Vitellio, 10

Otone, saputo della sconfitta, nonostante stessero arrivando rinforzi dal Danubio, si tolse la vita, il 16 aprile, forse per evitare ulteriori sofferenze allo stato. Fu così che Vitellio, scortato dai soldati germanici, tra cui i temibili batavi, entrò a Roma.

«Infine fece il suo ingresso in Roma al suono delle trombe paludato da generale e con la spada al fianco. Tra insegne e vessilli lo seguivano i suoi compagni con il mantello militare e i suoi soldati con le armi sguainate. Poi, di giorno in giorno sempre più spregiando ogni legge umana e divina, nell’anniversario dell’Allia assunse il pontificato massimo, dispose le elezioni per i prossimi dieci anni e prese per sé il consolato a vita. E perché nessuno avesse dubbi sul modello che egli sceglieva per reggere le sorti dello Stato, in mezzo al Campo di Marte con gran concorso di pubblici sacerdoti celebrò i riti funebri in onore di Nerone. Inoltre, in un convito solenne, invitò alla presenza di tutti un famoso citaredo a intonare qualche brano del Dominico, e, mentre quello attaccava un cantico di Nerone, applaudì per primo con entusiasmo.»

Svetonio, Vitellio, 11

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Vitellio: “un nemico morto ha un buon odore”
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