Pirro, re dell’Epiro, intervenne in aiuto di Taranto contro Roma, nel 281 a.C., che si stava espandendo rapidamente verso sud. Sconfitti i romani ad Heraclea anche grazie agli elefanti, scambiati per buoi lucani (non li avevano mai visti prima), subì però ingenti perdite. L’anno successivo, il 279, ad Ascoli Satriano, sconfisse di nuovo i romani, che però inflissero pesantissime perdite al re epirota, che avrebbe esclamato in quella situazione: «Ἂν ἔτι μίαν μάχην νικήσωμεν, ἀπολώλαμεν», ossia: «Un’altra vittoria così e sarò perduto.» (Plutarco, Pirro, 21).

La resistenza romana

«Di molti Claudii si annoverano molte e straordinarie benemerenze, ma anche molte colpe commesse contro la respublica. Per ricordare le principali: Appio Cieco dissuase il Senato dallo stringere alleanza con Pirro, in quanto essa era tutt’altro che vantaggiosa.»

svetonio, tiberio, 2

Nel 281 a.C. la città di Taranto, una delle più ricche e prospere della Magna Grecia, chiese l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro, contro la nascente potenza romana, che dopo la vittoria nella terza guerra sannitica stava dilagando in tutta Italia. I tarantini inviarono una legazione a Pirro, che accettò di buon grado. Già nel 280 a.C. sbarcò in Italia con circa 25.000 uomini e 20 elefanti da guerra, ottenendo anche l’appoggio dei sanniti. Il casus belli contro Roma era stato l’accordo tra i romani e Thurii, che avrebbe violato un precedente trattato tra romani e tarantini, i quali vedevano questa come un’ingerenza romana in quanto la città era molto più vicina a Taranto che non a Roma. Senza perder tempo i tarantini avevano attaccato e preso Thurii; i romani avevano cercato un’azione diplomatica ma fallì. Nonostante ciò il senato continuava a dibattere se fosse opportuno intervenire militarmente, quando infine il console Lucio Emilio Barbula assediò la città e i difensori chiesero l’aiuto di Pirro.

Nuove tattiche di guerra

I romani incontrarono per la prima volta gli elefanti contro Pirro, nella battaglia di Heraclea (280 a.C.), chiamandoli buoi lucani, avendoli scambiati per i grossi buoi che si trovavano in quella zona, suscitando il terrore dei romani e permettendo al re epirota di vincere la battaglia. Tuttavia già durante l’anno seguente, ad Ascoli Satriano, i romani non erano più impauriti dei grossi pachidermi: racconta Floro che Gaius Minucidus, astato della IV Legione recise la proboscide di un elefante, causandone la morte e mostrando ai suoi compagni come tali animali fossero tutt’altro che invincibili. Inoltre Pirro portò in Italia l’idea di accampamento, che i romani mutuarono dall’epirota:

« Pirro re dell’Epiro, istituì per primo l’utilizzo di raccogliere l’intero esercito all’interno di una stessa struttura difensiva. I Romani, quindi, che lo avevano sconfitto ai Campi Ausini nei pressi di Malevento, una volta occupato il suo campo militare ed osservata la sua struttura, arrivarono a tracciare con gradualità quel campo che oggi a noi è noto. »

Frontino, Stratagemata, IX, 1,14
Dopo aver affrontato i romani Pirro disse: «Ἂν ἔτι μίαν μάχην νικήσωμεν, ἀπολώλαμεν», ossia: «Un'altra vittoria così e sarò perduto.» (Plutarco, Pirro, 21).

I romani, che all’epoca avevano 2 legioni e 2 ale di socii italici e cavalieri ausiliari, appresero dunque nuove tattiche di combattimento e cominciarono a relazionarsi con la civiltà greca in modo molto più approfondito.

La battaglia di Eraclea ed Ascoli Satriano

Ad Eraclea, nel 280 a.C., i romani, comandati da Publio Valerio Levino, si ritiravano solo dopo che, dopo un lungo combattimento, Pirro lanciò in battaglia gli elefanti. I romani, dei quali ignoravano l’esistenza, pare li chiamassero buoi lucani, scambiandoli per i grossi buoi del posto. Tuttavia Pirro riuscì a catturare l’accampamento romano. Neanche ad Ascoli Satriano Pirro riuscì ad avere la meglio dopo un lunghissimo combattimento e decise di usare nuovamente gli elefanti, che tuttavia stavolta vennero bersagliati da dardi e giavellotti romani. Quest’ultimi, che si ritirarono in buon ordine, videro l’ennesima devotio di un Publio Decio Mure sul campo (console insieme a Publio Sulpicio Saverione), meno di vent’anni dopo quella del padre a Sentinum (295 a.C.).

Dopo la battaglia di Ascoli Satriano, nel 279 a.C., Pirro avrebbe esclamato: «Ἂν ἔτι μίαν μάχην νικήσωμεν, ἀπολώλαμεν» («un’altra vittoria così e sarò perduto»), da cui sarebbe poi derivata l’espressione “vittoria di Pirro“. Infatti il re epirota vinse, ma a carissimo prezzo. Racconta Plutarco: « Gli eserciti si separarono; e, da quel che si dice, Pirro rispose a uno che gli esternava la gioia per la vittoria che “un’altra vittoria così e si sarebbe rovinato”. Questo perché aveva perso gran parte delle forze che aveva portato con sé, quasi tutti i suoi migliori amici e i suoi principali comandanti; non c’erano altri che potessero essere arruolati, e i confederati italici non collaboravano. Dall’altra parte, come una fontana che scorresse fuori dalla città, il campo romano veniva riempito rapidamente e a completezza di uomini freschi, per niente abbattuti dalle perdite sostenute, ma dalla loro stessa rabbia capaci di raccogliere nuove forze, e nuova risolutezza per continuare la guerra. »

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Vittoria di Pirro
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