Quando Nerone scelse Svetonio Paolino come governatore della Britannia la situazione precipitò: il senatore romano era famoso per la sua inflessibilità e abilità al comando e cercò subito di sottomettere le tribù ribelli. Quando nel 60 morì Prasutago, re degli iceni, i romani sfogarono la loro rabbia:

«Prasutago, re degli Iceni, illustre per una ricchezza d’antica data, aveva nominato suo erede Cesare e le proprie figlie, convinto che con questo atto d’omaggio il suo regno e la sua casa sarebbero stati al sicuro da ogni offesa. Invece avvenne il contrario: il regno fu depredato dai centurioni, la sua casa dagli schiavi, quasi fosse preda di guerra. Per prima cosa, sua moglie Budicca fu colpita con le verghe, le figlie stuprate; i notabili Iceni furono spogliati dei beni aviti, come se i Romani avessero ricevuto in dono l’intera regione e i parenti del re furono trattati come servi. Per queste offese e il timore di altre ancora più gravi, quando il paese fu ridotto a provincia, gli Iceni danno di piglio alle armi e incitano alla rivolta i Trinovanti e quanti altri, non ancora umiliati dall’esser tenuti come schiavi, con segrete congiure avevano progettato di riconquistare la libertà, mossi da odio inesorabile contro i veterani. Costoro infatti, trasferiti recentemente come coloni a Camulodunum, li scacciavano dalle loro case, li spogliavano dei campi, chiamandoli prigionieri e schiavi, mentre i soldati favorivano la prepotenza dei veterani, per analogia del costume e sperando di potersi permettere un giorno la stessa arroganza. Inoltre, era stato dedicato un tempio al divo Claudio, che da loro era visto come la rocca d’un dominio perpetuo, e i sacerdoti prescelti spendevano tutte le risorse locali sotto l’aspetto del culto. Né del resto sembrava difficile distruggere una colonia che non era difesa da alcuna fortificazione, poiché i nostri comandanti non avevano provveduto a farlo, intenti a procurarsi ciò che era piacevole prima che l’utile.»

TACITO, ANNALI, XIV, 31

La ribellione

Prasutago aveva scelto come eredi le due figlie, non avendo eredi maschi. Tuttavia la politica romana voleva che in tali casi i regni clienti venissero acquisiti alla res publica. Perciò Nerone decise di annettere il territorio degli iceni e i romani, dietro ordine del procuratore Catone Deciano, saccheggiarono il territorio degli iceni, che era passato alla moglie di Prasutago Boudicca essendo le figlie minori. Probabilmente alla base c’era anche una diffusa corruzione tra i funzionari provinciali che in occasioni come queste, fin dai tempi della repubblica, vedevano un’ottima occasione per arricchirsi. I romani non si limitarono tuttavia a questo, ma fustigarono Boudicca e la stuprarono in pubblico. La reazione fu una violenta rivolta, guidata dalla regina icena, che trovò l’aiuto dei vicini trinovanti. Radunò più di 10.000 uomini e marciò sulla capitale romana Camulodunum, distruggendola e massacrando la popolazione:

«Mentre avvenivano questi fatti, a Camulodunum la statua della Vittoria cadde all’indietro, come se incalzata dai nemici. Donne forsennate gridavano che era imminente una sciagura e che nel loro parlamento si era udito il mormorio di voci straniere, che nel teatro s’erano levate grida e nell’estuario del Tamigi era stata vista l’immagine della colonia distrutta; già l’Oceano era apparso del colore del sangue e al ritirarsi dei marosi erano rimaste le impronte di corpi umani, segni che incutevano speranze ai Britanni, terrore ai veterani. Ma Svetonio era assente; perciò essi chiesero aiuto al procuratore Deciano; il quale mandò non più di duecento uomini senza armi adeguate; e già era insufficiente la guarnigione locale. I soldati, fiduciosi nella protezione del tempio e impediti da quelli che, segretamente complici della rivolta, provocavano scompiglio nelle loro decisioni, non avevano predisposto né un terrapieno né un fosso e non avevano allontanato i vecchi e le donne, in modo che rimanessero soltanto i giovani; improvvidi, quasi fossero in piena pace, furono accerchiati da una moltitudine di barbari. Al primo assalto, furono devastate e date alle fiamme tutte le altre costruzioni; il tempio, nel quale s’erano rifugiati, dopo un assedio di due giorni fu espugnato. I Britanni vittoriosi mossero incontro a Petilio Ceriale, legato della nona legione, che accorreva per portare aiuto, sconfissero la legione e sterminarono tutto quel che c’era di fanteria. Ceriale con la cavalleria si rifugiò nell’accampamento e fu difeso dalle fortificazioni. Il procuratore Cato, spaventato per la sconfitta e per l’odio dei provinciali, che con la sua avidità aveva spinti alla guerra, si trasferì nella Gallia.»

TACITO, ANNALI, XIV, 32

In quel momento Paolino era distante, poiché si trovava sull’isola di Mona, in Galles, a combattere i druidi, e la Britannia meridionale era sguarnita: «La crudeltà più atroce inflitta dai Britanni ai Romani fu questa. Spogliarono le nobildonne della città e le legarono, poi tagliarono loro i seni e li cucirono alle loro bocche, in modo che sembrasse che li stessero mangiando. Poi impalarono le donne attraverso tutto il corpo.» (Cassio Dione, Storia romana, LXII, 7). La ribellione si propagò ulteriormente sull’onda della vittoria e i romani furono costretti a intervenire precipitosamente, ma alcune coorti della legio IX Hispana comandata da Quinto Petilio Ceriale vennero massacrate: si salvarono solo 500 cavalieri e il loro comandante, mentre i 2.000 legionari vennero massacrati e Catone Deciano fuggiva in Gallia.

Svetonio Paolino aveva appena conquistato Mona quando seppe della ribellione. Tornò immediatamente indietro e raggiunse Londinium, dove si accorse di non avere abbastanza uomini ed evacuò la città. Si mosse poi a Verulamium (St. Albans), portando anche lì in salvo la popolazione. Al comando dei profughi si ricongiunse al suo esercito che aveva preceduto e mise insieme le sue forze: richiamò i veterani della legio XX Valeria Victrix, reclutò tutti gli ausiliari e legionari disponibili, cui si aggiunsero i 3.000 superstiti della IX Hispana e l’intera legio XIV Gemina Martia Victrix; la situazione era talmente disperata che la legio II Augusta rifiutò di ricongiungersi a Svetonio. Quest’ultimo, con poco più di 10.000 uomini affrontò un esercito barbarico almeno 5 volte superiore a Waitling Street; aveva scelto accuratamente il luogo della battaglia, impervio e stretto tra i boschi, con i boschi alle spalle, per costringere i britanni molto più numerosi a infrangersi contro il muro romano.

La tattica di Svetonio Paolino fu vincente e permise ai romani, grazie anche al suicidio di Boudicca, di riguadagnare il controllo dell’isola. Infatti la regina icena, vistasi sconfitta e poiché i carri bloccavano la via di fuga, decise di togliersi la vita. Secondo Cassio Dione invece la regina si sarebbe ammalata e morta di stenti di lì a poco. Boudicca sarebbe poi divenuta in epoca romantica, come molti altri barbari che si erano opposti a Roma (ad esempio Arminio e Vercingetorige) e specialmente vittoriana un’eroina nazionale, in questo caso britannica.

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