Petronio Massimo apparteneva alla gens Anicia e nacque intorno al 396; alcuni fonti sostengono una parentela con l’usurpatore Magno Massimo, sconfitto da Teodosio pochi anni prima la sua nascita. Iniziò la sua carriera nel 411 come notaio, poi comes sacrarum largitionum, ossia ministro delle finanze, fu poi praefectus urbi e prefetto al pretorio, nonché console nel 433, come collega dell’imperatore d’oriente Teodosio II. Ebbe poi un secondo consolato alcuni anni dopo e il rango di patricius; insomma ebbe una florida carriera senatoriale a Roma.

Nel 454, dopo la morte di Ezio, Petronio aveva cercato di farsi eleggere magister militum al suo posto, senza tuttavia riuscirci; aveva per questo deciso infine di uccidere Valentiniano III, bramando di prendere il suo posto, l’anno successivo, il 455, e c’era riuscito, mandandogli due sicari, che avevano assassinato anche il praepositus sacri cubiculi (colui il quale gestiva la domus imperiale) Eraclio, complice nell’omicidio di Ezio. Giovanni di Antiochia riporta che la motivazione dell’omicidio invece fosse stata la seduzione della moglie di Massimo da parte di Valentiniano, ma pare poco probabile.

Petronio, acclamato allora imperatore il 17 marzo del 455, decise di sposare Licinia Eudossia, moglie di Valentiniano, proibendole anche di osservare il lutto. Ma Eudossia non ci stava, e decise di chiamare il re vandalo Genserico in suo aiuto; non gli parve vero di poter intervenire, e così fu. I vandali arrivarono a Roma senza incontrare resistenza. Massimo si diede alla fuga mentre i vandali entravano nell’Urbe (si sarebbero poi dedicati a uno dei saccheggi più feroci della storia, tanto che la parola vandalo in italiano ha ancora una valenza fortemente negativa), ma venne ucciso forse da un sasso, che lo colpì alla testa; era fine maggio del 455.

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