«Durante questi indugi, ben piccoli se si considera la gravità della questione, prima che fossero state ben ponderate le varie proposte alcuni elementi turbolenti, come spesso accade nei momenti di crisi, elessero imperatore Gioviano, comandante dei protectores domestici, che aveva una modesta fama per i meriti paterni. Era figlio di Varroniano, celebre comes che di recente, dimessosi dalla carica, s’era ritirato ad una vita più tranquilla. Fu immediatamente rivestito degli abiti imperiali e, fatto uscire subito dalla tenda, correva già qua e là attraverso le schiere che si apprestavano a partire. Siccome lo schieramento era lungo quattro miglia, i soldati d’avanguardia, udendo che alcuni acclamavano Gioviano Augusto, ripetevano lo stesso grido con voce molto più alta. Infatti, colpiti dalla notevole somiglianza del nome, che differiva per una sola lettera, credettero che Giuliano si fosse ripreso dalla ferita e fosse accompagnato, come al solito, da grandi acclamazioni. Ma quando fu visto avvicinarsi quell’uomo curvo e di statura piuttosto alta, intuirono ciò che era accaduto e si abbandonarono al pianto ed al dolore.»

(Ammiano Marcellino, Le storie, XXV, 5, 4-7)

Flavio Gioviano nacque a Singidunum (l’odierna Belgrado) nel 331. Era figlio di Varroniano, comes domesticorum di Costanzo II. Fu protector domesticus di Costantino II e poi di Giuliano. Quando quest’ultimo morì a Maranga, venne nominato Augusto, il 27 giugno del 363.

Gioviano era cristiano (come la maggior parte degli ufficiali) e decise di trattare la pace coi persiani, su spinta dei sui collaboratori. I romani erano d’altronde in difficoltà e in ritirata. Sapore II acconsentì, a patto che i romani abbandonassero i territori al di là del Tigri conquistati ai tempi di Galerio, compresa la città di Nisibi e molte fortezze; Gioviano fu costretto ad accettare, visto che ormai mancava anche il cibo.

L’imperatore decise poi di ristabilire il culto cristiano, vietando i sacrifici e facendo chiudere i templi pagani. Ma, mentre faceva ritorno a occidente, morì, nel 364. Fu trovato morto nel suo letto, a Dadastana (nell’Asia minore occidentale, tra Nicea e Ankara), pare intossicato dall’affresco della stanza letto o dai fumi di un braciere, o forse ancora per un’indigestione, ma è anche possibile che sia stato avvelenato.

«L’imperatore, entrato ad Ancyra, dopo che fu preparato, nei limiti in cui le circostanze lo permettevano, quant’era necessario per la cerimonia, assunse il consolato e si scelse come collega il figlio Varroniano, ancora in assai tenera età, i cui vagiti, poiché si rifiutava ostinatamente d’essere portato, secondo il costume, sulla sedia curule, preannunciavano ciò che ben presto accadde. Quindi il giorno precedentemente fissato come termine della vita raggiunse a passi veloci anche Gioviano. Arrivato infatti a Dadastana, località al confine fra la Bitinia e la Galazia, una notte fu trovato morto. Sulla sua fine sorsero molti dubbi. Si dice che non potesse sopportare l’odore nocivo della calce di cui era stata recentemente imbiancata la camera, oppure che perisse in séguito ad un’infiammazione alla testa provocata da un’eccessiva quantità di carbone di legna messo a bruciare. Prevale però l’opinione che morisse per indigestione, gonfio di cibo mangiato in quantità eccessiva. Morì all’età di 33 anni. Sebbene la morte sua e quella di Scipione l’Emiliano fossero simili, per quanto io sappia, non fu compiuta un’indagine sulla fine di nessuno dei due.»

(Ammiano Marcellino, Le storie, XXV, 10, 11-13)

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