Sebbene sulla carta la falange fosse più forte, nella pratica i romani riuscirono ad adattarsi e vincere i nemici che la utilizzavano. A Pidna, nel 168 a.C., i romani, il cui schieramento meglio si adattava al terreno, annientarono la falange macedone, con lo scontro che mutò ben presto in un massacro. L’idea tattica alla base della legione manipolare era che quando una linea si stancava subentrava la successiva, con hastati e principes ad alternarsi, mentre i triarii subentravano solo in caso di assoluta necessità:

«Quando l’esercito aveva assunto questo schieramento, gli hastati iniziavano primi fra tutti il combattimento. Se gli hastati non erano in grado di battere il nemico, retrocedevano a passo lento e i principes li accoglievano negli intervalli tra loro. […] i triarii si mettevano sotto i vessilli, con la gamba sinistra distesa e gli scudi appoggiati sulla spalla e le aste conficcate in terra, con la punta rivolta verso l’alto, quasi fossero una palizzata… Qualora anche i principes avessero combattuto con scarso successo, si ritiravano dalla prima linea fino ai triarii. Da qui l’espressione in latino “Res ad Triarios rediit” (“essere ridotti ai Triarii”), quando si è in difficoltà.»

T. LIVIO, AB URBE CONDITA LIBRI VIII, 8, 9-12

La prima e seconda guerra macedonica

romani si erano espansi in Illiria alla fine del III secolo a.C.; fu allora che entrarono in contatto anche con i vicini macedoni, che decisero di allearsi con Annibale. I quiriti dal canto loro si allearono con la lega etolica; lo scontro, avvenuto tra il 214 e il 212 a.C. vide infine i romani riconoscere il predominio nella zona ai macedoni con la pace di Fenice del 205 a.C. Fu così che quando i romani vinsero la guerra contro Cartagine approfittarono del primo pretesto per reclamare vendetta. Infatti Filippo V re di Macedonia e Antioco III re dei seleucidi decisero di sfruttare la debolezza del giovane sovrano tolemaico Tolomeo V Epifane per sottrarre parte dei suoi territori (che comprendevano anche parte dell’Asia minore meridionale). Filippo attaccò Pergamo Rodi, che chiesero aiuto ai romani. 

Il culmine della seconda guerra macedonica fu la battaglia di Cinocefale (197 a.C.) in cui Tito Quinzio Flaminino sconfisse l’esercito del re macedone Filippo V. Quest’ultimo aveva schierato la falange in un’ala destra e sinistra a causa del terreno non del tutto adeguato alla falange. Mentre la sua ala destra respingeva i manipoli romani in forte difficoltà, Flaminino lanciò l’attacco contro l’ala sinistra macedone che si stava ancora schierando, mandandola in rotta. I romani allora ruotarono e attaccarono i restanti macedoni sul fianco. Quest’ultimi, vistosi persi, alzarono le sarisse in segno di resa, ma il gesto era sconosciuto ai romani che continuarono a macellarli con i loro gladi. La battaglia finì in un bagno di sangue, con decine di migliaia di morti e prigionieri macedoni. Flaminino d’altro canto, anch’egli all’oscuro del senso di alzare le sarisse, quando fu informato cercò di fermare il massacro ma era ormai troppo tardi.⁣

La terza guerra macedonica

Nel 179 a.C. Filippo morì e lasciò il regno al figlio Perseo, che odiava i romani. Il re macedone aveva sposato Laodice, figlia del re seleucide Seleuco IV e stretto alleanza con l’Epiro, le tribù illiriche e di Tracia. Il suo scopo era di ricreare un grande regno macedone. Nel 172 a.C. il re Eumene di Pergamo, suo nemico e alleato dei romani manifestò a Roma le sue preoccupazioni, ma i romani ancora non erano pronti per inviare l’esercito per cui attesero il 171. Gli etoli tuttavia si allearono con i romani, incrinando l’egemonia macedone. Perseo inflisse anche una prima sconfitta ai romani a Callinico, ma quest’ultimi rifiutarono ogni offerta di pace. La situazione si sarebbe ribaltata solo con l’arrivo del console eletto nel 168, Lucio Emilio Paolo, detto poi Macedonico (figlio del console morto a Canne), che decise di affrontare il nemico a Pidna. La sera prima della battaglia di si verificò un’eclissi di luna rossa; Tito Livio la descrive così:

“E come non ci si stupisce, essendo certi sia il sorgere sia il tramontare del Sole e della Luna, del fatto che la Luna ora splenda a disco pieno, ora con esigua falcetta, così non si deve considerare un prodigio il fatto che venga oscurata dall’ombra della Terra. E nella notte che precede le None di Settembre, quando all’ora annunciata la Luna si oscurò, la sapienza di Gallo apparve ai soldati romani quasi divina. “

(Tito Livio, Ab Urbe Condita, 44, 37)

Livio fornisce anche la data dell’eclissi, che nel calendario gregoriano corrisponde al nostro 21 giugno. Il 22 giugno del 168 a.C. i romani affrontavano i macedoni nella battaglia che segnerà la terza guerra macedonica (171-168 a.C.). La battaglia di Pidna segnò anche il definitivo tramonto della falange macedone a vantaggio della legione manipolare romana. Perseo lanciò l’attacco, con la falange macedone che cominciò a pressare i romani, i quali non poterono reggere l’urto. Arretrando in modo ordinato su una montagna però i romani poterono passare al contrattacco: Emilio Paolo si rese conto che lo schieramento nemico si fratturava in più punti e in questi lanciò i manipoli. I romani, più agili e abituati a combattere su terreni accidentati e in spazi ristretti, massacrarono coi loro gladi ispaniensi i macedoni, impossibilitati dalle lunghe sarisse.

La battaglia si trasformò in una carneficina, con i gladi che facero letteralmente a pezzi i macedoni inermi. Andati in rotta (20.000 furono uccisi e 10.000 catturati), furono attaccati poi dalla flotta romana al largo, che calò le ancore e procedette al massacro, mentre Emilio Paolo dava ordine ai suoi elefanti di caricare i macedoni in fuga. Il regno di Macedonia era distrutto; fu diviso in 4 repubbliche e, dopo un’insurrezione vent’anni dopo, la Macedonia venne annessa come provincia alla metà del II secolo a.C. La quantità d’oro conquistata sarà tale che da allora, fino al III secolo d.C., i romani (e poi gli italici) saranno esentati da ogni imposta diretta, che graveranno sui soli provinciali.

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La battaglia di Pidna
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