«Comunque, espulsero i tribuni e il Prefetto dell’accampamento e distrussero i loro bagagli mentre fuggivano e uccisero il centurione Lucilio, al quale i soldati per scherno avevano appioppato il soprannome: «Un’altra!», perché quando gli si spezzava una verga su la schiena d’un soldato subito a gran voce ne chiedeva un’altra e poi un’altra ancora. Gli altri centurioni si rifugiarono in nascondigli; fu trattenuto uno, Giulio Clemente, ritenuto atto a farsi latore delle richieste dei soldati per la sua prontezza. E già la legione ottava e la quindicesima si apprestavano a impugnare le armi, poiché quella chiedeva la morte d’un centurione di nome Sirpico, questa lo difendeva, fino a che intervennero i soldati della nona con preghiere e, con quelli che non li ascoltavano, con minacce.»
TACITO, ANNALI, I, 22-23
I centurioni erano dunque la più grande fonte di preoccupazione per i soldati e li temevano spesso e volentieri, come nel caso di “cedo alteram“, che venne massacrato dai suoi stessi soldati durante la rivolta pannonica seguita alla morte di Augusto. Tuttavia esistevano punizioni ben più esemplari di queste, che arrivavano perfino a condurre il malcapitato legionario alla morte.
«Presso i Romani, le leggi puniscono con la morte non solo la diserzione, ma anche alcune piccole mancanze e, ancor più delle leggi, incutono paura i comandanti; essi, però, distribuendo anche ricompense ai valorosi evitano di apparire spietati da parte di chi viene punito.»
Giuseppe Flavio, guerra giudaica, III, 5.7.103
“Domandando a ciascuno dove fossero le insegne e dove le armi, decapitò, dopo averli fustigati, i soldati rimasti senza armi, i signiferi che avevano perso l’insegna e inoltre i centurioni e i soldati scelti che avevano abbandonato il proprio posto. Quanto agli altri, uno su dieci fu estratto a sorte e giustiziato”.
Tito Livio, Ab urbe condita, II, 59
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Dare la vita come esempio
Tacito descrive così il servizio militare del suo tempo. Il legionario deve praticamente pagarsi tutto, e ben lontani sono, nel I secolo d.C., i tempi dei grossi bottini che integravano la paga. In seguito gli imperatori saranno costretti a sempre più larghi donativi:
«Il servizio militare è, nella sua sostanza, faticoso e non rende nulla: l’anima e il corpo si valutano dieci assi al giorno e con questi si deve pagare gli indumenti, le armi, le tende, oltre a salvarsi dalle sevizie dei centurioni o per comprare qualche esenzione da qualche fatica.»
TACITO, ANNALES, I, 17
E in effetti proprio in quest’epoca comincia a venir meno anche una pratica antichissima e che era stata in auge soprattutto nei primi secoli della repubblica: la decimazione.
«Da Augusto venne mantenuta la più severa disciplina: dove i suoi legati non ottennero, se non a fatica e solo durante i mesi invernali, il permesso di andare a trovare le loro mogli. […] Congedò con ignominia l’intera X legione, poiché ubbidiva con una certa aria di rivolta; allo stesso modo lasciò libere altre, che reclamavano il congedo con esagerata insistenza senza dare le dovute ricompense per il servizio prestato. Se alcune coorti risultava si fossero ritirate durante la battaglia, ordinava la loro decimazione e nutrire con orzo. Quando i centurioni abbandonavano il loro posto di comando erano messi a morte come semplici soldati, mentre per altre colpe faceva infliggere pene infamanti, come il rimanere tutto il giorno davanti alla tenda del proprio generale, vestito con una semplice tunica, senza cintura, tenendo in mano a volte una pertica lunga dieci piedi, oppure una zolla erbosa.»
svetonio, augusto, 24
Nonostante il tentativo di Augusto di ripristinare gli antichi valori e usanze repubblicane, in un’apparente restaurazione della res publica, la pratica venne meno nei decenni successivi, anche se pare che Caligola la volesse applicare, mentre invece sappiamo che certamente venne usata da Corbulone all’epoca di Nerone durante la sua campagna contro i parti, ma non venne più usata dopo Galba (68 d.C.), che proprio in virtù della sua durezza e austerità venne abbandonato dai suoi e ucciso.
«Infine, come se volesse porre fine alla guerra, schierato l’esercito lungo le spiagge dell’Oceano e disposte le baliste e le macchine senza che alcuno sapesse o potesse avere idea di cosa intendesse fare, improvvisamente ordinò di raccogliere conchiglie e riempirne gli elmi e i mantelli, dicendo: «Sono le spoglie dell’Oceano che spettano al Campidoglio e al Palazzo». […] Dopo aver annunciato ai soldati una ricompensa di cento denari ciascuno, come se avesse superato ogni altro esempio di generosità, disse: «Andate in letizia, andate in ricchezza». 47. Da quel momento, non pensò ad altro che alla celebrazione del suo trionfo. »
Svetonio, Caligola, 46-47
«Prima di allontanarsi dalla provincia, prese una decisione di infame atrocità: trucidare le legioni che avevano mosso una sollevazione dopo la morte di Augusto, poiché avevano allora assediato suo padre, Germanico, e lui stesso bambino. A stento fu convinto a revocare tale decisione improvvisa ma non si potè evitare in alcun modo la sua ostinazione a volerle decimare. Pertanto, dopo avere convocato quelle legioni ad assemblea, senza armi, e aver fatto deporre loro anche la spada, li fece circondare da un drappello di cavalleria. Ma, quando si accorse che la maggior parte di loro, insospettita, si allontanava per andare a riprendere le armi, per difendersi in caso di violenza, allora abbandonò di corsa l’assemblea e partì immediatamente per Roma. Qui scaricò tutta la sua rabbia sul Senato e con minacce cercò di impedire la propagazione di tanto disonorevoli azioni e lamentava che il Senato, tra l’altro, lo aveva defraudato del trionfo dovuto, nonostante che, proprio poco tempo prima, avesse ingiunto che non si dovesse mai rendergli alcuna onoranza, pena la morte.»
svetonio, caligola, 48
Come funzionava la decimazione
Il primo caso attestato di decimazione è narrato da Tito Livio durante la guerra contro i Volsci del 471 a.C., quando i romani fuggirono dal nemico abbandonando le insegne. Pare che il console Appio Claudio Sabino:
«Con corsa così precipitosa fra mucchi di cadaveri e di armi si diedero alla fuga, che i nemici si stancarono di inseguire prima che i Romani di fuggire. Il console, dopo essere corso dietro ai suoi richiamandoli invano, riuscito finalmente a radunarli dopo la fuga disordinata, pose il campo in territorio sicuro. Convocata poi l’assemblea si scagliò non a torto contro l’esercito che aveva mancato alla disciplina militare e abbandonate le insegne, e chiedendo ad uno ad uno dove fossero le insegne e le armi, fece frustare e decapitare i soldati che erano senz’armi e gli alfieri che avevano perduto le insegne, ed inoltre i centurioni e i soldati scelti che avevano abbandonato il loro posto: il resto della truppa fu condannato alla decimazione.»
Tito Livio, Ab urbe condita, II, 59
Tuttavia questa pratica, seppure famosa, venne usata solo in casi eccezionali e da comandanti particolarmente duri, per affermare l’ordine e la disciplina; era in pratica la forma di punizione militare suprema, che coinvolgeva l’intero esercito, reo di aver abbandonato le posizioni, ed era ben più grave delle pene inflitte ai singoli, come la flagellazione con bastoni (punigatio), la fustigazione per essersi addormentato durante la guardia (fustuatium) o avere un pessimo congedo alla fine del servizio (missio ignominiosa). Aveva infatti lo scopo di servire da memoria per i sopravvissuti, per spingerli a combattere fino alla morte qualora si fosse presentata nuovamente una situazione analoga e in generale a combattere con più vigore e forza, rispettando gli ordini dei comandanti.
“Allorquando capiti che di queste stesse colpe si macchino parecchi uomini, o che alcuni manipoli, completamente pressati dai nemici, abbandonino i loro posti, i romani non ritengono opportuno condannare tutti quanti alla bastonatura o a morte, ma trovano una soluzione utile e al contempo terribile. Il tribuno raduna la legione e conduce in mezzo quelli che hanno abbandonato il posto; quindi li rimprovera aspramente e infine tra tutti quegli uomini colpevoli di codardia ne sorteggia a volte cinque, a volte otto e a volte venti, tenendo sempre presente il numero totale dei colpevoli, in modo che i sorteggiati ne costituiscano la decima parte. Costoro li fa bastonare senza pietà, nel modo che abbiamo detto, mentre a tutti gli altri fa dare una misura di orzo invece che di grano e poi ordina loro di accamparsi fuori dello steccato, dove non c’è niente a proteggerli. Di conseguenza, dato che il pericolo e il timore del sorteggio incombe allo stesso modo su tutti, poiché non si sa a chi dovrà toccare e dato che la punizione di mangiare orzo ricade su tutti in modo uguale, per ispirare terrore e reprimere il loro errore è stata adottata proprio la migliore pratica possibile.”
Polibio, Storie, VI, 38
Tra le decimazioni più famose ci fu certamente quella di Crasso verso i soldati sconfitti da Spartaco. In ogni caso il comandante tramite i suoi tribuni e centurioni divideva i reparti coinvolti nell’ammutinamento, manipoli o coorti e li schierava privi di armi. Veniva fatto passare di mano in mano un sacchetto pieno di pietre colorate, di nero o di bianco; chi estraeva il sasso sbagliato era condannato all’esecuzione, ma dai propri compagni di reparto, il contubernium, la più piccola unità tattica da battaglia (formata da 8 uomini che condividevano tutto, compreso i pasti e la tenda). Dato che chi si rifiutava di uccidere il proprio compagno veniva ucciso sul posto, alla fine i commilitoni giustiziavano il povero sfortunato, lapidandolo. Era in pratica un modo sia per punire il comportamento, costringendoli a uccidere un compagno, sia un modo di unirsi a una sorta di giustizia collettiva ed epurarsi per il proprio errore sul campo di battaglia, condannando coloro i quali – in modo aleatorio – venivano giudicati colpevoli. Tuttavia i malcapitati che avevano dovuto uccidere un altro legionario erano anche condannati a mangiare orzo, cosa considerata infamante poiché era il cibo solitamente riservato agli animali.
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