La battaglia di Tigranocerta – la straordinaria vittoria di Lucullo

La battaglia di Tigranocerta – la straordinaria vittoria di Lucullo

«Se sono qui come ambasciatori sono troppi. Se [sono qui] come nemici, tutto troppo pochi.» (Appiano, Guerre mitridatiche, 85; Plutarco, Vita di Lucullo, 27.4)

«Tigrane chiamò a sé Tassile e gli disse ridendo: “Non vedi che l’invincibile armata romana sta scappando?”; ma Tassile gli rispose: “Oh Re, mi piacerebbe che qualcosa di meraviglioso potesse accadere alla tua buona sorte, ma quando questi uomini sono in marcia, essi non indossano abbigliamenti splendenti, e neppure usano scudi o elmi lucenti, poiché ora essi mettono a nudo le coperture di pelle delle loro armi”. E mentre Tassile stava ancora parlando, giunse alla loro vista un’aquila romana, mentre Lucullo che si dirigeva verso il fiume, con le coorti che si disponevano in manipoli, pronte alla traversata. Poi, all’ultimo, come fosse stato inebetito dallo stupore, Tigrane gridò due o tre volte “Sono i Romani ad attaccarci?”.» (Plutarco, Vita di Lucullo, 27.5-6)

La leggenda degli Orazi e i Curiazi

La leggenda degli Orazi e i Curiazi

“Ormai pareggiate le sorti, ne rimanevano in vita uno per parte, ma ben diversi per animo e per forze: l’uno spingevano baldanzoso al terzo duello il corpo non tocco dal ferro e la duplice vittoria; l’altro trascinando il corpo stanco per le ferite e per la corsa, già vinto dalla precedente strage dei fratelli, si offre ai colpi del nemico vincitore. Non fu vera lotta: il Romano imbaldanzito disse:
«Due ne ho offerti ai Mani dei fratelli; il terzo lo offrirò alla causa di questa guerra, affinché i Romani comandino sugli Albani».
Fattosi sopra l’avversario, che a stento reggeva le armi, gli piantò la spada nella gola, e ne spogliò il cadavere.” (Tito Livio, Ab Urbe Condita I, 25)

La secessione della plebe del 494 a.C.

La secessione della plebe del 494 a.C.

“Fu deciso dunque di mandare a trattare con la plebe Menenio Agrippa, uomo eloquente e caro al popolo, essendo di origine plebea. Questi introdotto nel campo si dice abbia fatto semplicemente questo racconto, col primitivo e rozzo modo di parlare di quell’epoca […] paragonando la sedizione interna del corpo all’ira della plebe contro i patrizi, riuscì a piegare gli animi. Cominciarono allora le trattative per il ritorno della concordia, e nei patti fu accordato alla plebe di avere propri magistrati inviolabili, ai quali era riconosciuto il diritto di intercedere in favore della plebe contro le decisioni dei consoli, e fu stabilito che nessun patrizio potesse accedere a quella magistratura.” (T. LIVIO, ab urbe condita libri, ii, 32-33)

Quando le oche salvarono Roma

Quando le oche salvarono Roma

“Li sentirono però le oche sacre a Giunone, che erano state risparmiate pur nella grande penuria di cibo. Questo fatto salvò i Romani; infatti destato dai loro schiamazzi e dallo sbattere delle ali Marco Manlio, che tre anni prima era stato console, uomo valoroso in guerra, afferrate le armi e insieme chiamando alle armi i compagni si fece avanti, e mentre gli altri erano presi dalla trepidazione, gettò giù urtandolo con lo scudo un Gallo che già aveva raggiunta la sommità.” (TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 47)

Pompei – la più famosa città del mondo antico

Pompei – la più famosa città del mondo antico

Il nome di Pompei deriva dal greco πημπο o πομπη o dall’osco pompe. La città venne fondata forse dagli opici, che occuparono la base delle pendici del Vesuvio, vicino al golfo di Napoli e alla foce del fiume Sarno, ma i primi edifici furono degli osci, che fondarono alcuni villaggi, riuniti in una singola città, passata probabilmente sotto l’influenza etrusca poco dopo il 524 a.C., anno in cui fondarono Capua. Divenuta romana durante le guerre sannitiche e vinta in quanto alleata con gli italici durante la guerra sociale, divenne colonia.
Il 5 febbraio del 62 d.C. l’area di Pompei era stata interessata da un violento terremoto, che avrebbe dunque preannunciato il successivo evento catastrofico; nel 79 d.C. ancora non erano stati compiuti del tutto i lavori di ricostruzione, ed alcuni erano appena terminati. Con epicentro nella vicina Stabia, il sisma provocò numerosi danni e crolli, testimoniati dagli affreschi della casa di Lucio Cecilio Giocondo, i danni a Porta Vesuvio, al Castellum Aquae e al foro e al tempio di Giove. Molti tra i più ricchi si trasferirono altrove, salvandosi poi dall’eruzione, mentre in città si andava formando una nuova borghesia di estrazione proletaria-libertina.

Gli ultimi anni di Annibale Barca

Gli ultimi anni di Annibale Barca

Antioco III era propenso a consegnare Annibale ai romani e per questo il cartaginese fuggì a Creta, poi di lì presso il re di Bitinia Prusia. Accadde però che Tito Quinzio Flaminino, il vincitore di Cinocefale, venisse a sapere casualmente dove si trovasse il cartaginese e ottenuto l’appoggio del senato organizzasse una spedizione per catturarlo. Annibale, vistosi perduto, decise di suicidarsi poco prima dell’arrivo dei romani, in quello stesso 183 a.C. in cui morì il suo rivale Scipione.

Io, Saturnalia

Io, Saturnalia

In questo periodo festivo, che dava il via alla rinascita primaverile, i romani usavano banchettare, scambiarsi regali e andare a vedere spettacoli gladiatori e corse di quadrighe: insomma era un periodo di rilassatezza. L’ordine sociale veniva sovvertito in quanto tutti gli uomini erano considerati uguali e perfino gli schiavi potevano beffarsi dei padroni. Era un periodo di licenze sotto ogni aspetto, con cibo, vino e sesso sfrenato, in cui cadeva anche l’uso della legge poiché si tornava a un’ancestrale età dell’Oro. Catullo definiva questa festa come “optimo dierum” (“il migliore dei giorni”).