Nel 2000 usciva Il Gladiatore, film di Ridley Scott che riportò in vita il genere peplum, in cui il protagonista Massimo Decimo Meridio, interpretato da Russel Crowe si ritrovava da generale a gladiatore dopo la morte di Marco Aurelio e finiva per vendicare l’imperatore uccidendo Commodo nell’arena. Per creare Massimo si basarono principalmente su un personaggio realmente esistito: Tiberio Claudio Pompeiano.

Il senatore che rifiutò la porpora

massimo

Tiberio Claudio Pompeiano nacque in Siria, ad Antiochia, attorno al 125. Figlio di Tiberio Claudio Quinziano, cavaliere romano; fu il primo della sua famiglia (che aveva ricevuto la cittadinanza sotto Claudio con ogni probabilità) a ottenere il rango senatorio. Divenne console suffetto nel 162, preludio al suo incarico come governatore della Pannonia Inferiore intorno al 167.

Probabilmente distintosi nella guerra partica di Lucio Vero e Avidio Cassio (161-166), entrò nelle simpatie di Marco Aurelio. Mentre Pompeiano era governatore della Pannonia Inferiore (grossomodo l’Ungheria attuale), difese il limes danubiano dall’invasione di 6000 longobardi. Quando iniziarono i primi attacchi dei marcomanni (che portarono alle seguenti guerre marcomanniche), aiutò Lucio Vero e Marco Aurelio nella difesa, debilitata dalla peste antonina che imperversava (probabilmente vaiolo, portato in occidente dai distaccamenti – vexillationes – delle legioni inviate in oriente per la campagna partica).

Nel 169 Marco Aurelio decise di dargli in moglie la figlia Lucilla, precedentemente sposata con Lucio Vero, collega (sebbene in posizione inferiore) di Marco Aurelio come imperatore e recentemente ammalatosi e morto nel gennaio dello stesso anno quando i due imperatori si erano ritirati ad Aquileia per l’inverno.

In tal modo Pompeiano divenne figlio adottivo di Marco Aurelio, proseguendo la tradizione del principio dell’adozione vigente nella dinastia antonina a partire da Nerva (96-98), che adottò Marco Ulpio Traiano.

L’imperatore propose a Pompeiano il titolo di Cesare, che preludeva ad una sua possibile successione come imperatore, ma il siriano rifiutò. Tuttavia Pompeiano divenne comandante della guerra marcomannica insieme a un altro veterano, Pertinace (divenuto poi imperatore dopo la morte di Commodo, nel 193).

Commodo nel film “Il Gladiatore”

I successi di Pompeiano gli fecero ottenere un secondo consolato, questa volta ordinario, nel 173. Alla morte di Marco Aurelio, nel 180, la guerra era quasi conclusa, ma Commodo, figlio e successore dell’imperatore, decise di stipulare la pace con i barbari e ritirarsi a Roma, contro il volere di Pompeiano, tecnicamente fratellastro dell’imperatore.

«Mentre Marco, già vecchio e travagliato non solo dall’età, ma anche dalle fatiche e dalle preoccupazioni, si trovava in Pannonia, una grave malattia lo colse. Poiché sospettava che le possibilità di salvezza fossero scarse, e vedeva il figlio appena adolescente, era angosciato al pensiero che costui, spinto dagli impulsi della gioventú, e privo della guida paterna, avendo in mano il potere illimitato degli imperatori, potesse ribellarsi ai nobili insegnamenti e all’educazione ricevuta, abbandonandosi alla crapula e alle orge; molto facilmente infatti le anime dei giovani, scivolando verso i piaceri, perdono i vantaggi di una buona formazione. Inoltre, poiché egli era uomo colto, assai lo tormentava il ricordo di quelli che salirono al trono in giovane età: per esempio Dionigi, tiranno dei Sicelioti, che per l’eccessiva incontinenza andava a caccia di nuovi piaceri pagandoli somme enormi; inoltre i diadochi di Alessandro, che con le loro prepotenze, e i loro soprusi verso i sudditi, disonorarono il regno di quello: Tolemeo che giunse fino ad amare la propria sorella, contro il costume dei Macedoni e dei Greci; Antigono, che imitava in tutto e per tutto Dioniso, e soleva incoronarsi di edera rifiutando la causia e il diadema dei Macedoni, e portava il tirso in luogo dello scettro. E ancor piú lo preoccupavano gli episodi meno antichi, il cui ricordo era ancor fresco; i misfatti di Nerone, che giunse fino a uccidere la madre, e offerse di sé un risibile spettacolo alle plebi; la sfrenata violenza di Domiziano, che non arretrò di fronte all’estremo della crudeltà. Rievocando con il pensiero queste immagini di tirannide, si sentiva prendere dal timore e dallo sconforto. Inoltre lo preoccupavano alquanto anche i Germani del confine, che egli era ben lungi dall’aver tutti domati: alcuni, con la diplomazia, aveva indotti a una alleanza; altri aveva sopraffatti con la forza; altri invece, per il momento, si erano precipitosamente ritirati, intimoriti per la presenza di un tale imperatore. Egli dunque prevedeva che, disprezzando il giovane per la sua inesperienza, gli sarebbero piombati addosso; poiché i barbari sono soliti muoversi facilmente, cogliendo ogni occasione.»

(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, I, 3, 1-4)

Nel 182 Lucilla tentò di assassinare il fratello, ma non vi riuscì. Pompeiano non era coinvolto nella congiura e restò libero, ma la sorella venne uccisa. Tuttavia il senatore siriano si ritirò dalla vita pubblica.

Il secondo e terzo rifiuto

Alla morte di Commodo, assassinato il 31 dicembre del 192, Pertinace, prefetto urbano, offrì la porpora a Pompeiano, ma rifiutò nuovamente. I pretoriani avevano infatti già riconosciuto Pertinace come imperatore. Allora Pertinace accettò la porpora, ma venne assassinato dai pretoriani medesimi che l’avevano fatto imperatore dopo soli 87 giorni, nei quali l’imperatore – plasmato da anni di dure guerre – aveva tentato di imporre una ferrea disciplina.

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Pompeiano

Ciò che ne seguì fu uno dei periodi più bui della storia di Roma: i pretoriani misero all’asta il titolo imperiale e ne uscì vincitore Didio Giuliano, che si comprò l’impero. Didio Giuliano propose ancora una volta al fratellastro di Commodo di dividere la porpora, ma rifiutò per la terza volta.

«Furono inoltre aboliti i decreti del senato. Giuliano, convocato il senato e richiesto il parere dei senatori sul da farsi, non ne ebbe alcuna risposta precisa. Successivamente comunque ordinò di propria iniziativa che Lolliano Tiziano armasse i gladiatori a Capua, e chiamò da Terracina Claudio Pompeiano per associarlo al potere, giacché era stato genero di un imperatore e aveva comandato a lungo l’esercito. Ma questi rifiutò, rispondendo di essere ormai vecchio e debole di vista. Anche dall’Umbria soldati erano passati dalla parte di Severo. Severo dal canto suo aveva inviato lettere nelle quali ordinava di tenere sotto controllo gli uccisori di Pertinace. In breve Giuliano fu abbandonato da tutti e rimase solo nel Palazzo assieme ad uno dei suoi prefetti, Geniale, e al genero Repentino. Infine si fece in modo che per autorità del senato venisse tolto a Giuliano il potere imperiale. Si procedette alla sua destituzione, e immediatamente fu proclamato imperatore Severo, mentre si faceva spargere la voce che Giuliano si era dato la morte col veleno. In realtà furono inviati dal senato degli emissari che si occuparono di far uccidere Giuliano per mano di un soldato semplice nel Palazzo, mentre implorava la protezione del nuovo Cesare, cioè Severo. Quando era salito al trono aveva emancipato sua figlia, conferendole un patrimonio, che ora subito le fu tolto assieme al titolo di Augusta.»

(Historia Augusta, Didio Giuliano, 8, 2-9)

Pompeiano morì probabilmente in quello stesso anno, ma non sappiamo né esattamente quando né in che modo. Aurelio, figlio di Pompeiano, diventò console nel 209 sotto Settimio Severo, ma venne assassinato per ordine di Caracalla qualche anno dopo.

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L’uomo dietro Il Gladiatore
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